Professori bullizzati dagli studenti, scusarsi non basta. Ci vuole rispetto

da Corriere della sera

Professori bullizzati dagli studenti, scusarsi non basta. Ci vuole rispetto

Troppo spesso gli insegnanti-vittime tendono a minimizzare la gravità dei fatti. Non possiamo allevare una generazione nella convinzione che basti chiedere scusa per azzerare tutto, per lavarsi da ogni responsabilità, per ricominciare come se nulla fosse

di Maurizio Tucci *

L’inquietante aumento di casi di bullismo nei riguardi degli insegnanti ha diverse concause. Alcune sono figlie dirette dei disvalori che trasmettiamo giorno per giorno alle nuove generazioni attraverso il nostro «esempio»: dal non rispetto verso l’altro, alla violenza verbale e fisica con la quale rispondiamo nelle circostanze in cui, a torto o a ragione non importa, ci sentiamo danneggiati. A qualunque livello. Dalla classe politica che si insulta quotidianamente senza ritegno, all’importante calciatore che dice cose terribili ad un arbitro per un rigore che, secondo il calciatore, non esiste, all’intervistato che aggredisce il giornalista, al genitore che va a pestare l’insegnante reo di aver rimproverato il figlio. A questo si aggiunge – proprio riferendosi alla scuola – che questa, più di altre istituzioni, subisce da anni una sistematica e costante delegittimazione sociale e a farne le spese sono soprattutto gli insegnanti la cui «autorità» è stata completamente azzerata.

Non ho parlato a caso di «autorità» (e non di «autorevolezza»), perché in un contesto sociale civile è anche necessario che ad alcune figure, in alcune circostanze, venga attribuita una «autorità» di status, anche a prescindere dalla effettiva autorevolezza della persona, e sarebbe importante che da generazione a generazione si trasmettesse il senso del rispetto nei confronti dell’«autorità». Rispetto – sia beninteso – che non significa supina accettazione di qualunque cosa «l’autorità» dica e disponga, ma riconoscimento di un ruolo che la società ha attribuito a quella persone in quella circostanza. E invece no. Oggi gli insegnati sembrano una sorta di «paria» verso i quali – salvo le retoriche eccezioni che non si negano a nessuno – tutto sembra permesso. E gli adolescenti apprendono e agiscono di conseguenza. Lo scenario è arricchito da un elemento concettualmente scorrelato da aggressività e mancanza di rispetto, ma che rende ulteriormente incentivante, per i ragazzi, l’agire: la possibilità – attraverso smartphone e Internet – di far uscire dalle mura della classe, o comunque del privato, la documentazione della propria prova di forza, di amplificare a dismisura l’esibizione del proprio potere nel sopraffare ed irridere la vittima. Vale tra di loro e vale, tanto più, se la vittima è un insegnante, perché si esibisce anche il «coraggio» di umiliare l’autorità.

E c’è anche un terzo aspetto che completa questo quadro avvilente: la certezza dell’impunità. Ed è almeno su questo fronte, visto che sugli altri abbiamo capitolato, che dovremmo rafforzare la nostra linea maginot. Non per salvare noi stessi, ma per salvare loro, le nuove generazioni, ancorandole, per quel che ancora si può, ad un minimo di rispetto per l’altro, di vivere civile e di assunzione delle proprie responsabilità. Ma a questo sembrano non collaborare, per primi, gli stessi insegnanti-vittime che troppo spesso tendono, se non a giustificare gli studenti, a minimizzare la gravità dei fatti. Specie se arrivano le scuse salvifiche del bullo pentito. No. Non possiamo allevare una generazione nella convinzione che basta chiedere scusa, dopo, per azzerare tutto, per lavarsi da ogni responsabilità, per ricominciare come se nulla fosse accaduto. Se così facessimo avremmo davvero perso la partita per la loro qualificazione… al futuro, senza nemmeno aver bisogno di un arbitro che ci assegni un rigore contro.
*Presidente Laboratorio Adolescenza www.laboratorioadolescenza.org