J.-C. Izzo, Vivere stanca

Izzo o della moderna umanità perduta

di Antonio Stanca

Nel 1998 lo scrittore francese Jean-Claude Izzo aveva raccolto nel breve volume Vivere stanca alcuni suoi racconti pubblicati in precedenza su giornali o riviste e recentemente l’opera è stata riproposta dalla casa editrice E/O di Roma con la traduzione di Franca Doriguzzi e le illustrazioni di Joëlle Jolivet.

Izzo era nato a Marsiglia nel 1945 e qui era morto nel 2000 a cinquantacinque anni. Prima di giungere alla narrativa si era applicato in diverse direzioni. Aveva scritto e pubblicato raccolte di poesie, aveva prodotto testi per il cinema, il teatro, la radio, aveva collaborato con giornali e riviste, era stato membro del movimento cattolico “Pax Christi” oltre che del partito socialista e poi di quello comunista. Era vissuto generalmente a Marsiglia, si era separato dalla moglie, poi anche dalla donna venuta dopo ed infine anche da questa.

Spirito irresoluto, irrequieto era stato quello di Izzo, sempre alla ricerca di altro si era mosso, di quanto credeva avesse potuto soddisfare, calmare quei bisogni che non considerava soltanto suoi ma anche di altri, di quelli che nella vita moderna erano rimasti superati dai tempi, dai costumi, dal modo di essere, di fare, che avevano visto finire quei valori che erano sempre stati dello spirito perché sconfitti da quelli della materia. Erano diventati questi i più importanti e contro di essi non solo con le opere aveva combattuto Izzo ma anche con la religione, con la politica. Sempre sospeso, però, era rimasto tra l’aspirazione a recuperare quanto richiesto dall’anima e gli infiniti, insormontabili ostacoli che la realtà gli frapponeva, tra il bisogno di bene e la constatazione di un male che si era ormai tanto diffuso da essere diventato modo di vivere, sistema.

Chiari sarebbero stati, nelle opere di Izzo, i riflessi di questa difficile condizione sofferta dall’autore. La trilogia marsigliese, composta dai romanzi Casino totale del 1993, Chourmo del 1994 e Solea del 1998, ne sarebbe stata la più famosa testimonianza, avrebbe fatto di lui lo scrittore più letto nel contesto della narrativa francese della fine del secolo scorso. Con quei romanzi Izzo si sarebbe rivelato un autore completamente nuovo nei contenuti e nella forma espressiva, avrebbe inaugurato il genere detto del “noir mediterraneo”, di una narrazione, cioè, continuamente percorsa da un senso di paura, continuamente esposta a pericoli incombenti, a disastri imminenti. Ad accrescere questo stato di tensione interveniva la lingua dello scrittore, pur essa completamente nuova perché sintetica, ridotta all’essenziale e sempre interrotta, frenata, framezzata, sempre fatta di frasi minime, di parole sole quasi si trattasse di esclamazioni, sospiri, lamenti.

Fabio Montale sarebbe stato l’eroe di quei romanzi, il personaggio nel quale Izzo si sarebbe trasferito per combattere, tramite lui, contro un mondo che era diventato nemico e per rimanerne vittima.

I racconti di Vivere stanca sono degli anni ’90, gli stessi della trilogia marsigliese e come i romanzi di questa sono ambientati a Marsiglia, come in quei romanzi i loro personaggi, i loro protagonisti sono eroi negativi destinati a perdere nel loro confronto con la vita. Tutti, uomini e donne, vecchi e giovani, sono rappresentati in una situazione di aspirazioni deluse, di speranze fallite, tutti sono mostrati alla ricerca di quanto avrebbe potuto sollevarli, salvarli. Sono dei disperati, non sanno come fare perché hanno perso il lavoro o non si sono mai applicati con costanza, perché hanno debiti o sono rimasti ai margini del posto, dell’ambiente, del quartiere dove vivono, perché sono stati traditi nei loro affetti di padri o madri, mariti o mogli, figli o figlie, fratelli o sorelle, amici o amanti, e soli vivono ormai e di soli ricordi. Alcuni si sono chiusi in sé stessi, hanno fatto della loro sconfitta l’unico pensiero, si sono tanto identificati con esso da giungere a sacrificarsi per esso, a darsi la morte.

Il sesso, l’alcol saranno i modi da tutti cercati per alleviare quanto li opprime ma inalterata rimarrà l’idea che altro sarebbe stato loro possibile, che altra vita avrebbero meritato, che ingiusto era stato non averla ottenuta. Non grandi erano state le loro aspirazioni ma minime, di gente comune e nemmeno erano state possibili. Di questi pensieri, eternamente e vanamente nutriti da quelle persone, dei tormenti della loro coscienza vuole dire la scrittura di Izzo che anche in questi racconti è tanto animata, tanto vicina alle situazioni, alle vicende rappresentate da farle apparire vere, da muoverle come nella realtà. Un discorso continuamente interrotto come quello dello scrittore dà l’impressione che non sia scritto ma parlato e che vada ascoltato più che letto. Sembra la voce di quella moderna umanità perduta la scrittura di Izzo, di quell’umanità della quale ha voluto essere il testimone, l’interprete.