L’autonomia nel nuovo Contratto di Governo

print

L’autonomia nel nuovo Contratto di Governo

di Gian Carlo Sacchi

E’ stato annunciato un governo del cambiamento, facile a dirsi, mietendo numerosi consensi in campagna elettorale, ma difficile a farsi e la lunghissima crisi per la sua formazione lo dimostra. Un cambiamento a lungo promesso, capace di interpretare la difficile situazione economica e sociale, che però fatica a tradursi in una coerente proposta di governo, perché mancano le risorse, perché si rischia di incrinare i rapporti internazionali, soprattutto con l’UE, perché le forze politiche uscite vincitrici dalle urne rivelano punti di vista piuttosto discordanti e anche perché c’è chi sostiene che per loro sia meglio continuare a cavalcare la protesta piuttosto che assumersi davvero la responsabilità di governare.

Possono dunque stare insieme forze politiche che in campagna elettorale hanno inteso il cambiamento in maniera profondamente diversa ? Una più centrata sulla difesa dei diritti individuali (pensioni, fisco, ecc.) e l’altra più sulla solidarietà sociale (povertà, reddito di cittadinanza, ecc.). Cosa può tenerle unite oltre alla capacità di orientare il consenso politico ?

Mancando tra di loro un’affinità ideale hanno cercato di stendere un “contratto” che mettesse in chiaro le cose da fare; da questo però emergono più le priorità di ciascuna componente che le strategie comuni di risoluzione dei problemi e soprattutto la necessaria copertura finanziaria.

Una convivenza che si presenta difficile, sia sul piano programmatico, sia nella gestione dell’assetto governativo, in considerazione anche del nostro sistema centralistico che richiede che tutto venga deciso a livello nazionale. In altri Paesi un maggior decentramento verso sistemi di governo regionali e locali oltre a responsabilizzare maggiormente gli amministratori contribuisce a stemperare la tensione politica delocalizzando anche l’interesse dei cittadini; da noi invece anche le elezioni regionali e comunali intersecano questioni nazionali contribuendo ad innalzare il livello dello scontro, tenendo anche conto di competenze che sia sempre più necessario allocare in sede europea.

Si tratta da un lato di valorizzare le istituzioni periferiche come radicamento e sviluppo dei territori, che devono essere aiutati proprio dallo Stato ad aprirsi a dimensioni più ampie per migliorare le conoscenze e gli scambi; sarà ormai impossibile tornare a forme di protezionismo nazionalistico anche per il semplice controllo del consenso elettorale. D’altro canto il dibattito politico è sempre più influenzato dai media, anche a livello internazionale, il che amplia gli orizzonti e contribuisce non poco ad orientare l’opinione pubblica.

Nel contratto la politica scolastica resta ai margini e date le emergenze che il Paese deve affrontare rischia di subire un ulteriore periodo di stallo; in esso vi sono generici richiami alla difficile situazione dei tagli finanziari, ai docenti ed alla qualità dell’insegnamento; si invoca un cambio di rotta senza dire come si interviene, con quali risorse e strumenti organizzativi.

Un tema tuttavia degno di interesse, già affrontato nella precedente legislatura, è quello del regionalismo: trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni ed ai Comuni, secondo il principio di sussidiarietà, nonché l’utilizzo dei “costi standard” per i servizi locali, come già introdotti circa un decennio fa dal “federalismo fiscale”, ma non ancora attivati.

Sarà prioritaria per l’agenda di governo, si legge nel contratto, l’attribuzione per tutte le regioni che lo chiedono (sappiamo essere circa una decina quelle interessate e non solo al nord) di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116 della Costituzione, portando a rapida conclusione le trattative attualmente aperte, con il trasferimento delle risorse necessarie. Alla maggiore autonomia, continua il documento, dovrà infatti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta.

Questo percorso di rinnovamento dell’assetto istituzionale sarà in grado di interpretare al meglio sia le diverse realtà territoriali, sia la solidarietà nazionale, dando spazio alle spinte propulsive delle comunità locali. Un maggiore coinvolgimento delle regioni poi ed una loro effettiva rappresentanza potrebbe favorire percorsi di coordinamento a livello europeo, nel rafforzamento di un’Europa delle Regioni.

Per la Lega si tratta di un vecchio cavallo di battaglia ripreso anche su sollecitazione delle due regioni, Veneto e Lombardia che hanno sottoscritto una pre-intesa con il governo Gentiloni. Al centro diverse materie tra le quali molto spazio occupano l’istruzione, la formazione professionale, superiore e la ricerca, che dovrebbero essere affrontate mediante la compartecipazione alle entrate fiscali nazionali, per far emergere le amministrazioni virtuose.

Una questione affrontata da governi regionali ispirati da altre forze politiche: Emilia Romagna, Piemonte, Campania, Puglia, Marche e Umbria, ma anche Liguria, che fanno riferimento alla riforma costituzionale approvata dal centro-sinistra nel 2001.  Un’autonomia “differenziata” che potrebbe riprendere la questione del regionalismo in termini di riorganizzazione complessiva del nostro Stato, abbandonata dopo il referendum del 2016, anche per una migliore collocazione in Europa, senza arretramenti di tipo nazionalista.

Il cammino di Governo e Parlamento dunque è già tracciato, in Veneto si attendono risultati a breve ed in Lombardia di recente c’è stato un voto unanime del Consiglio Regionale in quella direzione; si stanno muovendo anche le regioni a statuto speciale: Friuli VG, Sicilia e Sardegna.

Il M5S aderisce all’applicazione delle norme costituzionali vigenti trasferendo alle Regioni e agli EELL tutte le funzioni amministrative che possono essere meglio gestite al loro livello territoriale, con una parte delle entrate fiscali dello Stato. C’è tuttavia chi ritiene che il Movimento tenda a raffreddare tale percorso per l’impatto negativo che nel breve periodo avrebbe sulle regioni meridionali, per la scarsa capacità fiscale di queste ultime, rispetto alla spesa storica. Solo attraverso una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali sarà sostenibile nel medio periodo una diversa ripartizione delle risorse. Nelle intenzioni del Movimento, se ne parla nel programma elettorale, c’è la riduzione degli apparati burocratici dello stato, facendo delle regioni gli enti di raccordo con i comuni per quanto riguarda le politiche pubbliche.

Come si vede anche su questo tema non siamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda: più autonomia per l’art. 116 della Costituzione significa per la regione una posizione di governo del territorio, mentre non è ben chiaro se la funzione di raccordo faccia invece parte di una visione amministrativa, delegata dallo Stato. E’ ovvio che il peso politico di questi organismi avranno una ricaduta sulla loro elettività, così come non si è ancora risolto il problema delle province.

Entro questo contesto tuttavia, assieme al riordino della governance, sarà necessario affrontare la  realizzazione dell’autonomia scolastica per renderne pienamente efficace la presenza nella Costituzione.