Scarpetta: l’ascensore sociale riparte se si investe sulla scuola

da Il Sole 24 Ore

Scarpetta: l’ascensore sociale riparte se si investe sulla scuola

Far ripartire l’ascensore sociale investendo su una scuola di qualità, rafforzando le politiche occupazionali e sostenendo il reddito delle famiglie veramente più disagiate, a patto che sia un sostegno ben circoscritto, temporaneo e mirato al reintegro nel mercato del lavoro, rifuggendo quindi da «semplici trasferimenti di risorse» che creino dipendenza. Stefano Scarpetta, direttore della divisione Lavoro e Politiche sociali dell’Ocse, spiega come l’Italia potrebbe rimediare alla sua scarsa mobilità sociale. A bocce ferme servono 5 generazioni nella Penisola per passare da un reddito basso a un fine mese da classe media, quindi ci vogliono «150 anni almeno», ma non c’è nulla di inevitabile. Il punto di partenza è l’istruzione, sottolinea Scarpetta in un colloquio con Radiocor, sulla scia del rapporto Ocse pubblicato oggi e che vede l’Italia in coda tra i Paesi industrializzati per la mobilità sociale, con i figli che ereditano a loro vantaggio o svantaggio, oltre agli eventuali beni di famiglia, anche il grado di istruzione ,il tipo di lavoro e, con ogni probabilità, il reddito dei padri. Così gli ultimi della scala sociale che restano più facilmente ultimi e i primi che si tengono ben stretti il primato.

La scuola in Italia
«Non aiuta la mobilità sociale, non riesce a fare progredire i figli di famiglie svantaggiate, che difficilmente arrivano alla laurea. Il livello di istruzione dei genitori conta per due terzi su quello dei figli, più che altrove», sottolinea Scarpetta. Non è un problema di accesso all’istruzione primaria e secondaria, «ma è una questione di qualità ed è quello che conta per entrare nel mercato del lavoro», osserva l’economista. L’aggravante è che in Italia non solo i figli si ritrovano per via ‘ereditaria’ con lo stesso grado di istruzione dei genitori, ma in media il livello di competenze della popolazione è più basso rispetto agli indicatori internazionali. «L’Italia è uno dei Paesi che ha fatto meno progressi nell’aumentare il livello di istruzione. Bisogna lavorare fin dall’età pre-scolare, dagli asili nido e favorire l’accesso per le famiglie svantaggiate». Nel ciclo scolastico secondario, il Paese «purtroppo in passato ha disinvestito nella formazione tecnico-professionale di qualità, i giovani finiscano gli studi senza le competenze necessarie per trovare un lavoro». Gli istituti tecnici superiori hanno dato un ottimo segnale, ma si tratta di «un’offerta ancora molto limitata, che andrebbe aumentata». L’alternanza scuola-lavoro è «una buona idea», ma «per ora resta più un vincolo per le scuole e gli insegnanti che un’offerta concreta per creare spazio lavorativo per i giovani». Quindi, c’è «parecchio da lavorare per rimettere in marcia il sistema».

I centri per l’impiego
Poi c’e’ tutto il versante del mercato del lavoro: «L’attenzione che il nuovo Governo ha dato ai Centri per l’impiego è una cosa positiva, assolutamente da sostenere». L’Anpal, l’agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro, «andrebbe rafforzata negli strumenti di coordinamento e orientamento che fornisce agli Uffici per l’impiego e questi a loro volta andrebbero rafforzati». Sarebbe utile collaborare di più, come in altri Paesi, con gli imprenditori privati, con le agenzie interinali, che conoscono bene il territorio. Sul capitolo reddito, Scarpetta, sottolinea che «sicuramente in Italia c’è bisogno di migliorare le prestazioni sociali, soprattutto per le famiglie più svantaggiate. L’importante è che sia un intervento attivo mirato al re-integro nel mercato del lavoro, anche con corsi di formazione». Bocciato, quindi, il reddito di cittadinanza «come è stato presentato all’inizio, cioè un sostegno generalizzato, senza alcuna condizionalità, insostenibile finanziariamente e non auspicabile dal punto di vista della policy». Si potrebbe rafforzare il reddito di inclusione, varato dal passato Governo e utilizzarlo come elemento per aumentare la partecipazione al mercato del lavoro. Nella sua versione più recente, osserva Scarpetta, il reddito di cittadinanza sembra essere temporaneo e mirato. Quello che conta, comunque, non è il nome che si vuole dare alla misura, piuttosto come farla funzionare. I 780 euro promessi dal nuovo Governo sono «una cifra importante, bisogna vedere quanto sono condizionati alla ricerca di un lavoro e quanto sia intensiva la richiesta di questa ricerca. Se è una misura temporanea, che serva a permettere a una famiglia di uscire dalla povertà, che aiuta il ritorno all’occupazione, se il tutto è concentrato solo su alcune categorie, quelle veramente a basso reddito, potrebbe anche essere una misura efficace». Se, invece, «è un trasferimento di risorse senza alcuna misura di attivazione del lavoro, rischia di essere una riforma passiva che porta a dipendenza».