Presidi e prof, storie di vite parallele

Presidi e prof, storie di vite parallele

Franco Buccino

(La Repubblica ed. Napoli, 27 luglio 2018)

Si è svolta la prova preselettiva del concorso a dirigente scolastico. È stato dato molto risalto alla notizia che oltre il trenta per cento di candidati non si è presentato. La motivazione ricorrente: i docenti sono in vacanza. A Napoli, ovviamente, si è riscontrata la percentuale più alta di assenze. E così alla fine i candidati che si sono presentati erano “solo” 24 mila a livello nazionale, in Campania “appena” 4 mila.

In Campania per qualche centinaio di posti. Il destino dei presidi somiglia a quello dei docenti: si intrecciano storie precarie. Molti posti al nord, pochi al sud; molti candidati al sud, pochi al nord. Molti dei vincitori dopo un anno o due si spostano nelle regioni meridionali sui posti liberi per via dei pensionamenti (l’età media dei DS rimane alta). E soprattutto al nord abbondano le scuole senza preside titolare.

Gli aspiranti presidi, come i docenti, pagano costosi corsi di preparazione (un fiorente mercato di agenzie formative) e hanno in comune con gli insegnanti anche la litigiosità nelle varie fasi concorsuali. I ricorsi sono all’ordine del giorno. Per i motivi più disparati, alcuni fondati altri meno. Con un’attenzione tutta particolare di agguerriti uffici legali e dello stesso legislatore, che li ha spesso inseriti nei vari decreti omnibus, alla stregua dei precari.

Il destino dei presidi è parallelo a quello dei docenti, e a quello degli alunni, anche per le modalità di reclutamento e di valutazione. Per quello che viene loro richiesto: saperi disciplinari variamente articolati. Ricordo che tanti anni fa, a un concorso per ispettore (il top nella scuola) dei candidati vennero con la valigia piena di libri da consultare (all’epoca le commissioni erano più permissive!); e uno di loro vinse il concorso. Oggi basterebbe uno smartphone o un tablet, un motore di ricerca, e via (ma oggi sono tutti rigorosamente vietati). Nel “mio” concorso negli anni ’80 ci fu data una prova scritta su operatività, sapere e saper fare. Ci sembrò già allora che il tema riguardasse noi futuri presidi, oltre che i nostri alunni. Ma il tempo è passato inutilmente se ancora oggi si procede per quiz e prove scritte sulle varie discipline.

E allora perché, nonostante tutto, migliaia e migliaia di docenti vorrebbero diventare dirigenti scolastici? Diverse sono le risposte, e a volte i motivi si sommano. Lo stipendio di un docente è modesto, soprattutto se non dà lezioni private o non esercita la libera professione. Facendo il preside, lo stipendio aumenta del 50%. Aumentano le responsabilità e il tempo da dedicare alla scuola, si perdono “privilegi” più o meno consolidati, ma il fattore economico ha il suo peso.

In modo ancora più rilevante agisce il fattore professionale. Il lavoro del docente ha il suo fascino e gratifica, però quella dell’insegnante è una carriera senza sbocchi. Per quarant’anni e passa. Una volta c’erano artifizi come livelli, scatti biennali, concorsi per merito distinto, tutti più o meno legati all’anzianità, e poi aboliti per far posto ad aumenti legati, invece, al riconoscimento della professionalità con un meccanismo che non si riesce ancora a definire e ad attuare. Così come, nella logica di un’autonomia ampia alle scuole, da ridurre drasticamente nel numero, proprio con l’attribuzione della dirigenza al preside, si pensava di poter arrivare al riconoscimento di figure intermedie, contrattualmente definite, fra lui e i docenti, con responsabilità sia sul fronte didattico che organizzativo. Anche questo progetto non è andato in porto. Per cui di fatto lo sbocco di carriera del docente all’interno della scuola rimane quello di dirigente scolastico.

C’è infine il fattore determinante per un buon numero di aspiranti. Un fattore che potremmo definire politico. Nel senso che tanti di loro, nell’esperienza maturata in anni di permanenza a scuola, hanno visto come la scuola funziona e come potrebbe funzionare, hanno visto i colleghi e hanno imparato a valutarli, hanno vissuto a scuola esperienze d’ogni genere e osservato il comportamento del preside, quello che ha fatto e quello che poteva fare. E hanno maturato l’idea di trovarsi al suo posto perché hanno le idee chiare su come devono andare le cose a scuola. Sono consapevoli che ci vogliono tante altre competenze e conoscenze, ma hanno la motivazione più forte.