Cattedre e posti

Cattedre e posti

Franco Buccino

Ho letto e sentito di cattedre tagliate, soprattutto al sud; di immissioni in ruolo in numero del tutto insoddisfacente di docenti precari, soprattutto al sud. E ho ritrovato sulla stampa un vecchio amico e compagno che continua la guerra che per tanti anni fu la nostra. Per le scuole e i precari del sud. Con le stesse armi di sempre: l’estensione e la generalizzazione del tempo pieno e la lotta alla dispersione scolastica. Assomiglia un po’ al soldato giapponese trovato in un’isola delle Filippine a trent’anni dalla fine della guerra mentre continuava ancora a sparare. Anche il mio amico sembra che non sappia che la guerra è finita, e soprattutto che la guerra l’abbiamo persa.

La guerra l’abbiamo persa con l’avvento della Buona Scuola, e precisamente con la più grande immissione in ruolo della storia: centomila precari stabilizzati e poi in gran parte ridistribuiti soprattutto al sud. Era un’occasione unica e irripetibile per realizzare l’autonomia delle scuole: scuole con più organico per far fronte alle varie necessità, superando le tradizionali rigidità dell’organizzazione scolastica; scuole che potessero dar conto dei risultati alle comunità e al territorio prima che al ministero; docenti valutati per la loro professionalità e non solo per gli anni di servizio e le esigenze di famiglia. E invece abbiamo ottenuto il risultato del ruolo senza che ci fosse richiesto nulla, né dall’amministrazione scolastica che aborrisce qualunque cambiamento e burocratizza ogni innovazione, né dai sindacati che si sono guardati bene dal richiedere modifiche all’organizzazione del lavoro per una categoria da anni mortificata e senza contratto.

E così è rimasto tutto come prima. È rimasto il problema degli organici. Molti docenti passano di ruolo al nord e poi vanno per trasferimento o assegnazione provvisoria al sud; con il risultato che al nord ci sono sempre molti supplenti e si riforma il precariato. Per la verità pure al sud, nonostante il rientro di tanti docenti di ruolo, resiste un discreto esercito di precari, anche perché ci sono più pensionati. La generosa stabilizzazione di precari ad opera della Buona Scuola non è servita perché il meccanismo che genera il precariato è stato lasciato intatto. E sono rimasti tutti i problemi delle scuole: non solo strutture spesso inadeguate, carenze di laboratori e palestre; ma tradizionali caroselli di insegnanti, soprattutto di docenti di sostegno; e soprattutto modelli didattici superati che, più che privilegiare lo sviluppo intellettuale e le potenzialità dello studente, pretendono la sua adesione al sapere disciplinare. Alla base di tutti i problemi un’organizzazione che immobilizza e pietrifica la scuola.

Il governo dell’epoca, al di là di vuote enunciazioni e della proposta di istituti irrealizzabili, come l’organico potenziato, la chiamata diretta, la titolarità di ambito e non di scuola, non ha voluto o saputo affrontare i problemi della scuola, e ha fatto molti danni che vengono fuori man mano. È possibile rimediare? La soluzione continua a stare nell’autonomia delle scuole, nell’organico d’istituto e nella sua stabilità per un congruo periodo. Un’autonomia insieme organizzativa, didattica e finanziaria. Un organico d’istituto potenziato, che veda la presenza, oltre che dei docenti curricolari, di quelli dei vari ambiti disciplinari, per poter realizzare modelli didattici flessibili. Un organico che deve rimanere stabile, e quindi la completa rivisitazione della mobilità del personale. Una soluzione, come si vede, non facile. Non è per niente scontato il consenso dei docenti, né la disponibilità del nuovo governo a farsi carico di cambiamento e innovazione, e soprattutto a investire risorse finanziarie per una reale autonomia delle scuole e stipendi più dignitosi ai docenti.