A. Dikele DiStefano, Chi sta male non lo dice

Antonio Dikele DiStefano, una voce autentica tra due civiltà

di Antonio Stanca

Antonio Dikele DiStefano è nato a Busto Arsizio nel 1992 da genitori provenienti entrambi dall’Angola. Da bambino e adolescente è vissuto a Ravenna. Suoi primi interessi sono stati quelli della musica. Nel 2015 sono cominciate a comparire sue opere di narrativa. Aveva ventitré anni e poi ha continuato a scrivere mostrandosi rivolto alla rappresentazione di particolari condizioni umane e sociali, dei difficili rapporti che generalmente si verificano tra l’ambiente e le persone diverse che vi giungono da lontano, da altri continenti e che sono costrette ad abitarci, a viverci, dei problemi che i più giovani soffrono nelle famiglie immigrate poiché costretti a stare tra esse e l’esterno, tra i genitori ed i coetanei di altre famiglie.

Sociale, psicologico si potrebbe dire del genere di romanzi del DiStefano e tra questi si potrebbe far rientrare uno degli ultimi, Chi sta male non lo dice. Risale al 2017 ma a Giugno del 2018 è comparsa la prima edizione tascabile nella serie “I Miti” della casa editrice Mondadori di Milano.

Nell’opera l’autore dice della vicenda vissuta da due ragazzi, due adolescenti, Yannick e Ifem, entrambi figli di immigrati ed entrambi studenti di una scuola periferica di un grosso centro urbano italiano.

I due s’innamorano appena si vedono e niente di quanto avverrà tra loro sfuggirà più al DiStefano, ogni particolare del loro rapporto, dei loro pensieri, dei loro sentimenti, delle loro azioni sarà colto dallo scrittore. Sarà come se il romanzo procedesse seguendo i due giovani in ogni loro dire e fare. Succederà così che entrambi si scopriranno in una condizione priva di certezze, entrambi si diranno di essere alla ricerca di qualcosa che colmasse il vuoto del loro animo, le mancanze del loro spirito. Stando insieme crederanno di aver risolto il problema ma questo ritornerà soprattutto per lui, Yannick. Non sarà mai convinto, sicuro di star bene o di poter star bene, di quel che dice, di quel che pensa. Solo all’inizio Ifem sembrerà di aver appagato i suoi bisogni ma basterà poco tempo perché torni a sentirsi insoddisfatto, inquieto come prima. Ifem scoprirà che si droga, neanche lei si sentirà sicura con lui, comincerà a pensare ad altro, si separeranno, si ritroveranno, finirà il loro rapporto come era finito quello dei loro genitori. Per nessuno erano stati possibili dei riferimenti, delle certezze e a questo voleva giungere lo scrittore, a dire di un’umanità persa perché privata di quanto le appartiene, di quanto le serve per sentirsi sicura.

Dalla particolare situazione dei due ragazzi il discorso del DiStefano si estende sempre più, comprende le loro famiglie, i problemi di queste prima che diventassero immigrate e dopo, si trasforma in un confronto tra civiltà diverse, in uno dei problemi attuali più gravi e più discussi senza, però, che sia possibile intravedere una soluzione, senza che si riesca a stabilire come fare per stare meglio. DiStefano è uno scrittore che ha vissuto questi problemi, la sua famiglia, la sua vita non ne sono state libere ed ora ne sta facendo i temi della sua scrittura, che, perciò, risulta una delle più vere, delle più autentiche.