L’incultura degli Italiani

L’incultura degli Italiani

di Maurizio Tiriticco

Alcuni anni fa – era il 16 dicembre del 2010 – in mio articolo dal titolo “La terza fase, forme di sapere che… abbiamo perdute”, ricordavo quanto affermava Raffaele Simone nel suo libro La Terza Fase, Forme di sapere che stiamo perdendo, pubblicato da Laterza nel lontano 2000. Scrivevo: “La tesi di Simone è che l’avvento delle tecnologie ipertestuali non concorre a migliorare le nostre competenze logico linguistiche – discrete e digitali, potremmo aggiungere – ma ad impoverirle”. In effetti, oggi, nel 2018, dobbiamo purtroppo constatare che nella nostra classe dirigente la parola scritta si è andata estremamente impoverendo, e proprio in quei settori dell’analisi politica e sociale che, invece, richiederebbero arricchimenti costanti. In effetti, stante la complessità delle società contemporanee, delle economie e dei mercati, di una globalizzazione galoppante e di un mercato del lavoro sempre più precario, altrettanto complessa, circostanziata e mirata ne dovrebbe essere l’analisi! Soprattutto da parte di chi ha nelle mani i destini del Pianeta, per usare parole forti!.

Ora, alla luce di quanto accade oggi nella nostra vita politica, mi sembra che le preoccupazioni espresse allora da Simone, sulle quali peraltro non tutti i critici erano d’accordo, abbiano trovato invece una sonora conferma! In effetti, a diciotto anni di distanza dal libro di Simone, dobbiamo constatare che nella nostra classe dirigente la parola scritta si è andata estremamente impoverendo, e proprio in quei settori dell’analisi politica e sociale che, invece, richiederebbero arricchimenti costanti. In effetti, stante la complessità delle società contemporanee, delle economie e dei mercati, di una globalizzazione galoppante e di un mercato del lavoro sempre più precario, altrettanto complessa, circostanziata e mirata ne dovrebbe essere l’analisi! Soprattutto da parte di chi ha nelle mani i destini del Paese e del Pianeta, per usare parole forti!

Insomma, chi ha responsabilità di governo, deve essere anche assolutamente padrone del linguaggio che usa! Anche perché il linguaggio è il pensiero, paragrafando Vygotsky. Ebbene! Sono passati otto anni da quel 2010 e di acqua sotto i ponti ne è passata molta, ma… le cose non sono affatto migliorate, anzi! L’avvento sull’arengo politico (chissà se i politicastri nostrani conoscono il significato della parola ‘arengo’) di tanti baldi giovanotti non è di grande aiuto per un miglioramento della nostra lingua, né comune né tanto meno politica. Un giovanotto viene da Milano! Un altro giovanotto da Napoli! E sono anche fior di ministri! E poi, c’è un terzo individuo, non troppo giovanotto, venuto chissà da dove… o meglio, ricordiamolo: è nato in un Paese della nostra bella Puglia, Volturara Appula, nel 1964. Il web mi dice che è un politico, un giurista, un accademico italiano! Ed oggi anche “Presidente del Consiglio dei Ministri e Capo del Governo”! No! Per carità! Il web sbaglia! Solo Benito Mussolini si permise di darsi il titolo di Capo del Governo! Un titolo che, oggi, nella nostra Costituzione non esiste!

Ma, a parte queste disquisizioni storiche e linguistiche, ciò che sconcerta è l’estrema povertà di linguaggio dei nostri attuali governanti, in primo luogo dei due Vicepresidenti del Consiglio dei Ministri. Parlano spesso, anzi troppo spesso, per slogan, per allusioni, come se fossero dei pubblicitari, invece che uomini politici con responsabilità immense, oggi, in un Paese che non sembra affatto navigare in acque tranquille. Ricorrono a Facebook e a Instagram per lanciare i loro proclami! Sì, proclami più che riflessioni e analisi politiche! E ciò è di un’estrema gravità! Ed inoltre lanciano quotidianamente licenze ad uccidere la nostra bella lingua italiana!

Così un Presidente del Consiglio sembra un burattino che balbetta ciò che i due burattinai suggeriscono! E i due burattinai zompano – letteralmente – da una telecamera all’altra e, quando sono in vena di grandi riflessioni, cliccano qualche periodino sui social! E producono piccoli “pezzi” in cui semantica, lessico e sintassi – che parole grosse! – sono sempre di un’estrema povertà.

Eppure c’era una volta un Parlamento in cui si… parlava! E i dibattiti erano sostenuti non solo dalla ricchezza delle idee e delle proposte politiche, ma anche dalla ricchezza delle argomentazioni. Soprattutto in occasioni delle grandi leggi di riforma! Oggi sembra che nel Parlamento si parli poco e male. Per non dire che quasi quotidianamente la parola è sostituita dallo schiamazzo, dallo sberleffo, dall’insulto, dalla banalità dal lancio costante di volantini in cui lo slogan uccide qualsiasi argomentazione! Ben altri erano i discorsi che hanno tenuto i nostri Padri e Madri Costituenti, i nostri Deputati e Senatori che nella seconda metà degli anni Quaranta hanno costruito l’ossatura legislativa e giuridica della nostra Repubblica! Solo qualche nome: De Nicola, Terracini, De Gasperi, Nenni, Togliatti, Moro, Andreotti! Ma quanti altri ne potrai ricordare, e quante altre, di schieramenti politici opposti, ma tutti padroni/e della nostra bella lingua!

E ciò che più addolora è questa urlante e sgangherata corsa verso un’ignoranza sempre più diffusa, civica e politica! Tutto ciò accade in un Paese che, in materia di lingua ha conosciuto un Dante, un Galileo, un Manzoni, un Pasolini, e tante donne, dalla Ginsburg alla Maraini, dalla Deledda alla Morante… ma quanti e quante altri/e ancora…

Non so! A volte mi viene da pensare: c’era una volta un Bel Paese che si chiamava Italia… dove il Sì… suonava!!!