Studiare all’estero, vince la “valanga rosa”

da Il Sole 24 Ore

Studiare all’estero, vince la “valanga rosa”
di Maria Piera Ceci

Studiare all’estero? Una questione prevalentemente al femminile.
Nell’anno scolastico 2016, 7.400 adolescenti delle scuole superiori, secondo le stime di Fondazione Intercultura, hanno trascorso un periodo tra i 3 o 6 mesi o l’intero anno scolastico all’estero, con un incremento del 111 per cento dal 2009. Un interesse dunque crescente nel tempo, ma nel 62 per cento dei casi ad effettuare questa scelta sono state le studentesse, contro un 38 per cento degli studenti.
I motivi di questo squilibrio sono tanti ed emergono con chiarezza dalla ricerca 2018 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, promossa dalla Fondazione Intercultura in collaborazione con Ipsos. La ricerca ha coinvolto oltre 800 studenti delle scuole superiori e viene presentata oggi nella sede di Assolombarda.

«Ci sono delle ragioni più strutturali ed altre più legate ad aspetti culturali e motivazionali che caratterizzano maschi e femmine in maniera diversa» – spiega Carlo Buzzi, sociologo e docente presso l’università di Trento. «Quelli strutturali dipendono dal fatto che troviamo più femmine all’interno dei licei e i liceali sono gli studenti che più degli altri sono disponibili a fare un’esperienza all’estero. Le ragazze sono anche mediamente più brave a scuola e andare all’estero per un anno viene considerato un rischio che può essere affrontato. I maschi invece temono di avere delle difficoltà al ritorno. Inoltre le ragazze si dimostrano più brave nelle lingue. Questi sono gli aspetti di fondo. Ma quelli che abbiamo osservato con maggior interesse sono gli aspetti culturali e motivazionali. Abbiamo fatto una serie di domande per catturare il perché le ragazze siano più disponibili dei ragazzi ad uscire di casa e dalla loro scuola. Abbiamo chiesto agli studenti di scegliere una frase fra queste due: “Mi piace cambiare, conoscere culture molto diverse, viaggiare in posti lontani”, oppure “Mi piace sentirmi a casa”. Tra le ragazze prevale la scelta della prima frase, nei ragazzi prevale il discorso della sicurezza e dello stare a casa. E questo rovescia i termini degli stereotipi che abbiamo. Se poi chiediamo ai ragazzi di dirci quali sono gli aspetti attitudinali in cui si riconoscono, fra le ragazze risulta più facile fare scelte irreversibili. Nelle ragazze è più radicata la consapevolezza che a volte nella vita è necessario prendere delle decisioni da cui non si può tornare facilmente indietro e quando vai a studiare all’estero non puoi cambiare idea e tornare a casa un mese dopo. Nei ragazzi invece la reversibilità della scelta è vista come elemento sine qua non. Fanno più fatica a raccogliere la sfida. Tra le ragazze c’è insomma una maggiore propensione ad accettare qualche rischio, nei ragazzi il rischio viene invece vissuto come un aspetto non positivo».

Tradotto in numeri, il 53 per cento dei maschi (contro il 42 per cento delle femmine) si identifica di più con l’idea di sentirsi a proprio agio a casa propria, mentre il 47 per cento delle ragazze si sente stimolato all’idea di incontrare mondi nuovi (contro il 47 per cento dei ragazzi).

Secondo la ricerca Intercultura-Ipsos i maschi tendono ad evitare di assumersi responsabilità giudicate irreversibili. I maschi fanno più fatica ad uscire dalla loro comfort zone: il 59 per cento di loro non si identifica con la frase proposta «C’è sempre un momento nella vita per scelte decisive da cui non si può tornare indietro», percentuale che scende al 54 per cento tra le femmine.

Importante nella scelta di andare a fare un’esperienza all’estero anche il ruolo dei genitori.
La famiglia d’origine fa da sprone soprattutto nei confronti delle ragazze, perché sono considerate più mature. Il 41 per cento di loro, rispetto al 35 per cento dei coetanei maschi, dice di essere stimolata in famiglia ad essere autonoma e indipendente. Con i genitori dunque sembra instaurarsi un circolo virtuoso mentre, nel caso dei maschi, il circolo è vizioso: giudicati immaturi, la famiglia li spinge a rimanere a casa, aumentando così le loro insicurezze, se è vero che solo il 14 per cento di loro, rispetto al 19 per cento delle ragazze, afferma che mamma e papà approvano le loro scelte.

Un altro aspetto divide il mondo maschile da quello femminile, quello della visione prospettica del futuro: i maschi si vedono impegnati in lavori con un obiettivo di carriera che preveda anche di sacrificare la qualità della vita. Le ragazze sono più proiettate verso professioni legate al settore terziario e sociale e il successo, per loro, passa più attraverso la dimensione personale che quella professionale (il 39 per cento delle femmine, contro il 34 per cento dei maschi, si dice disposta a rinunciare a parte del proprio guadagno pur di avere maggiore tempo libero).

Anche fra i maschi che decidono di partire prevale l’aspetto strumentale, cioè vanno all’estero perché è utile, perché rappresenta un’esperienza da spendere all’università, nel lavoro futuro. C’è già la consapevolezza dell’utilità, molto più che nelle ragazze.
«I ragazzi tendono ad avere un orientamento molto più forte alla loro carriera e al loro futuro e perciò tendono a scegliere delle esperienze propedeutiche a quello che vogliono fare da grandi. Mentre le ragazze in questa fase di crescita sono ancora in una fase esplorativa, non hanno ancora in mente un progetto di lavoro e di vita e tendono ad esplorare le varie possibilità» – spiega il segretario generale di Fondazione Intercultura Roberto Ruffino, che mette in evidenza anche un altro aspetto. «Gli adolescenti maschi sembrano fare molto più gruppo rispetto alle coetanee e hanno quindi molta più difficoltà a staccarsi dal gruppo di amici con cui fanno sport o musica, per andare ad esporsi in un’esperienza all’estero senza i compagni. E sono più attaccati al posto dove vivono, mentre le ragazze si sentono più libere di andare all’estero e vedere altre cose, rispetto ai ragazzi che sembrano più attaccati alla loro quotidianità».

Ragazze dunque più brave a scuola, più mature, più disposte ad accettare le sfide, più curiose. Tutte caratteristiche importanti per le aziende che poi dovranno pescare in questa generazione per le assunzioni future.
«Molti stereotipi devono cadere e cadranno. Mantenersi sui vecchi stereotipi diventa pericoloso» – dice ancora Buzzi. «Le ragazze si sono dimostrate più vive, più curiose, aspetti vincenti sul piano professionale».