La Cengia di Ball della scuola primaria

La Cengia di Ball della scuola primaria

di Stefano Stefanel

Chi si intende un po’ di montagna sa che per salire sul Pelmo, nelle Dolomiti, per la così detta “via normale (che di normale ha veramente poco) bisogna passare per la Cengia di Ball (dal nome del pioniere inglese che per primo ha scalato quella montagna). Questa Cengia è un taglio in mezzo alla montagna lungo circa un chilometro di larghezza compresa tra i 30 e i 50 centimetri che da una parte ha una parete di roccia che spesso spiove verso la Cengia e dall’altra un buco diritto di qualche centinaia di metri. Non è pericolosa perché tutti noi siamo in grado di camminare per un chilometro su un “marciapiede” anche stretto senza cadere, ma fa il suo effetto perché chi mette un piede in fallo cade giù (per sempre).

La scuola primaria sta percorrendo una cengia simile, ma non se ne sta accorgendo e continua a camminare sospesa nel vuoto come se camminasse in città. Per uscire dalla metafora io credo che la scuola primaria stia perdendo il suo specifico primario (perché complesso e faticoso) e si stia avventurando in una secondarizzazione pericolosa per sé e per gli studenti. L’idea di un sapere primario in cui non vi siano discipline strutturate, ma solo argomenti trasversali passa dall’idea che il maestro e la maestra possano e debbano insegnare di tutto. Se io apro la finestra e vedo quello che c’è fuori non sto facendo una lezione di scienze, ma sto parlando dell’ambiente dove ci sono molte materie, discipline, suggestioni, punti di vista. Invece le maestre e i maestri si stanno convincendo che sia necessario dividere tutto in discipline, con cambi d’orario e di contenuto che sempre più spesso assimilano le scuole primarie al più disgraziato dei segmenti del nostro sistema scolastico, quello della scuola secondaria di primo grado. La rigidità dei professori va a sistema nella secondaria di secondo grado, laddove i Licei italiani nel complesso vanno bene (hanno gli studenti migliori !) e gli Istituti tecnici e professionali pensano di combattere la dispersione scolastica aumentando le bocciature(non lo dicono, ma lo fanno). Ma mentre l’autismo della scuola secondaria di secondo grado è un dato di fatto di matrice gentiliana, dovrebbe preoccupare questa tendenza verso le “teste ben piene” di una scuola – come quella primaria – che ha sempre cercato di creare “teste ben fatte”. 

Anche l’oramai antica legge istitutiva dei moduli (la legge 148 del 1990) sull’argomento era molto chiara: 

3. Il direttore didattico, sulla base di quanto stabilito dalla programmazione dell’azione educativa, dispone l’assegnazione degli insegnanti alle classi di ciascuno dei moduli organizzativi di cui all’articolo 4 e l’assegnazione degli ambiti disciplinari agli insegnanti, avendo cura di garantire le condizioni per la continuità didattica, nonché la migliore utilizzazione delle competenze e delle esperienze professionali, assicurando, ove possibile, una opportuna rotazione nel tempo. “

4. Nell’ambito dello stesso modulo organizzativo, gli insegnanti operano collegialmente e sono contitolari della classe o delle classi a cui il modulo si riferisce. 

5. Nei primi due anni della scuola elementare, per favorire l’impostazione unitaria e pre-disciplinare dei programmi, la specifica articolazione del modulo organizzativo, di cui all’articolo 4, è di norma, tale da consentire una maggiore presenza temporale di un singolo insegnante in ognuna delle classi.

Come è andata a finire lo sappiamo tutti, ma quella che era una tendenza è diventata una norma, che ha secondarizzato la scuola primaria appesantendo e spesso rallentando il processo di apprendimento degli studenti. Nelle prime due classi i moduli sono stati applicati come nelle altre tre, la rotazione è diventata un elemento residuale e solo per i supplenti, visto che le maestre e i maestri si sono specializzati negli ambiti disciplinari. E le Facoltà di Scienze della Formazione, dove i maestri e le maestre vengono formati da professori universitari disciplinaristi, hanno fatto diventare la tendenza una regola. 

Tutto questo sta facendo scricchiolare un sistema che sembrava stesse tenendo nonostante le troppe riforme degli ultimi vent’anni: il tempo pieno spesso però, invece di aprire possibilità soprattutto ai bambini più in difficoltà, stanca moltissimo i suoi alunni, riempie le loro teste con aggressività pedagogica e mette sul piatto della scuola secondaria di primo grado troppi giovani studenti stanchi e demotivati. Tutto questo è stato oggettivamente confuso da impianti riformatori che non avevano bene in mente il fine da raggiungere, ma la Riforma Moratti aveva introdotto alcuni elementi molto positivi e al passo non la società che cambia(il portfolio e il docente tutor, ad esempio) che sono stati respinti solo per preconcetto ideologico. La battaglia a quella riforma haparalizzato la riflessione. 

Nella scuola primaria non si può insegnare per materie, bisogna insegnare per argomenti, per prossimità, per interessi, per empatia e per concretezza. Tutte cose che i maestri e le maestre sanno bene, ma il processo spesso diventa sterile perché gli orari dei docenti, gli orari della programmazione, gli orari della mensa, gli orari delle compresenze, gli orari dell’inglese, gli orari dellareligione, ecc. hanno preso il sopravvento sugli orari dell’apprendimento. E tutto questo ha contribuito a secondarizzareuna scuola che per sua natura presidia il processo di apprendimento primario del bambino. In tutto questo le famiglie ci hanno messo il loro, pressando spesso gli insegnanti con logiche assurde di tipo secondario e contenutistico.

Una grossa colpa però in tutto questo lo ha anche la Scuola dell’infanzia, perché di fatto continua ad accettare una subalternità rispetto alla Scuola primaria che non ha motivo di esistere. La Scuola dell’infanzia italiana è il segmento di eccellenza ed è l’unico luogo dell’apprendimento dove si apprende solo per competenze, dentro sfondi integratori, campi di esperienza, tempi di apprendimento legati al soggetto che apprende e non all’orario del docente. Dove sta allora la colpa della Scuola dell’infanzia? Fondamentalmente nel non avere il coraggio di alzare la testa e alzare la voce e chiedere con grande forza che il primo biennio della scuola primaria non sia una precoce secondarizzazione.

Dove sta la logica per cui un bambino fino al 30 giugno apprende in spazi ampi di gioco dentro ambienti aperti e dal 10 settembre dello stesso anno deve imparare stando seduto cinque ore al giorno dietro un banco come un liceale di 18 anni? La Scuola dell’infanzia tace e vede il proprio lavoro spesso denigrato, da chi chiede che ai bambini di tre anni si insegni a stare fermi e seduti dietro un banco. Follie. Paritarie a quella dei docenti della Scuola secondaria che chiedono che la Scuola primaria doti gli studenti dei prerequisiti che vogliono loro e che spesso sono tecnicismi fuori da ogni logica pedagogica e didattica. La dispersione che esplode nel primo biennio delle superiori nasce da qui, dai passaggi sbagliati, da una verticalità predicata con le parole, ma schiacciata dall’orizzontalità dei fatti. 

Torniamo dunque sulla Cengia di Ball: la scuola primaria italiana deve essere una “via veramente normale”. Non si portano milioni di bambini in cima alle montagne per vie di grado troppo elevato. Ma è diventata una via difficile, c’è la Cengia di Ball da attraversare. E per superare indenni quella Cengia bisogna avere competenze non conoscenze. Bisogna essere solidi, saper fare poche cose, ma molto bene: assenza di vertigini, piede ben fermo, capacità di concentrarsi. Per camminare sulla Cengia di Ball non serve a nulla fare allenamento sui marciapiedi cittadini, bisogna allenarsi in montagna. Non si raggiungono solide competenze di sapere primario secondarizzando gli apprendimenti e i processi. Bisogna fare scuola verticale e la verticalità è per sua natura pluri-disciplinare e trans- disciplinare. Mai disciplinare.