Emergenza educativa

Emergenza educativa

di Vincenzo Andraous

Da tanto tempo non sentivo più questa affermazione, o meglio, la sentivo e come, tra gli addetti ai lavori, tra coloro che operano sul campo, tra quelli che si sporcano le mani tutti i giorni, sul fronte del disagio giovanile e più compiutamente nella prevenzione delle varie forme di violenza che vedono coinvolti sempre più giovani.

Tutto di un colpo ci accorgiamo che vengono picchiati gli arbitri e dunque occorre il pugno duro per chi non rispetta le regole, per chi non rispetta gli altri oltre che se stesso, c’è necessità di fare tabula rasa anche dei campioni sportivi che reagiscono malamente al richiamo degli arbitri, definendoli indegni.

L’obice è puntato dritto su quanti pensano di poter fare e disfare a proprio piacimento pur di non sottostare a norme e regole largamente condivise.

Però qualcosa non mi quadra, qualcosa è fuori dalle metrature appena elencate, qualcosa manca all’appello, sì, qualcosa è incredibilmente assente nella discussione da poco messa in atto a furor di slogan.

Emergenza educativa s’è detto, è davvero così, ne sono convinto, perché ho preso atto personalmente di quanto coloro che dovrebbero essere veri e propri esempi siano invece i veri colpevoli, gli imputati che sempre più spesso sono assenti ingiustificati alla sbarra.

I giovani come ha ben detto qualcuno “fanno anche del male, ma sognano di fare del bene”, dunque occorrerebbe più equilibrio e più gestualità autorevoli nel fare quotidiano da parte del mondo adulto, affinché riescano a comprendere il valore della vita umana e la fatica necessaria a mettere in atto la giusta manutenzione per avere cura della propria dignità personale.

Mio nipote è un pulcino della squadra della sua città, uno spasso osservarlo in campo, constatare che falli, sgambetti, gioco duro, sono banditi dal rettangolo di gioco, niente parolacce e niente grida sguaiate, tutta corsa, schemi, e consigli impartiti dalle panchine.

Incredibile ma vero, su quel campo si gioca a calcio rispettando gli avversari, l’arbitro, e, ultimo ma non per importanza, gli allenatori, che decidono senza timore di obiezioni chi esce e chi entra.

Fair play verso i meno dotati, fair play nei riguardi di chi perde, fair play nell’esultare e nello stringere le mani dei coetanei, di chi inciampa e cade, insomma un bel vedere a cui non ero proprio più abituato.

Perché allora non mi quadra la filippica nazional popolare sul reprimere chi adolescente è preda di rabbia e frustrazione?

C’è qualcosa di assai più specifico che manda gambe all’aria un’intera architettura educativa costruita con impegno, professionalità e tanto amore.

Ai bordi del campo le schiere di mamme imbufalite, di papà inebetiti dalle proprie aspettative, di adulti con i cartellini dei propri figli ben appuntati sul petto, ognuno a incitare i pargoli, e cosa assai più imbarazzante, tutti insieme appassionatamente a fare a pezzi arbitri e guardialinee.

Fair play e corretta interpretazione della reciprocità soccombono sotto i cingolati dei nuovi conduttori di anime, dei nuovi costruttori di futuri eroi del pallone.

Parolacce, bestemmie, inviti a entrare duro sull’avversario, a non badare troppo a chi cade, a chi non ce la fa più a starti dietro, un susseguirsi di ordini lanciati da dietro le reti di recinzione, urla così perentorie da coprire quelle dei coach delle due squadre.

Fair play, rispetto, educazione, allenamento e sudore, un mondo di passi in avanti svolti uno per volta per non incappare nell’errore, improvvisamente messi da parte dall’incedere dell’orda genitoriale, dei battaglioni del mondo adulto ancora una volta imputato assente e recidivo, ben protetto dalle solite attenuanti prevalenti alle aggravanti, e così facendo ci rimetterà sempre il più debole, il più fragile, quello meno avvezzo a vestire i panni del più furbo per forza.

Oggi qualcuno propende per il pugno duro nei riguardi di chi adolescente colpisce un arbitro, oggi qualcuno parla sebbene in ritardo di emergenza educativa, oggi qualcuno sarà bene faccia i conti non soltanto con il pianeta giovani, ma soprattutto con l’indifferenza omertosa e colpevole del mondo adulto.

Fortunatamente i “grandi” non sono tutti così, e ancora più fortunatamente i “giovanissimi” non sono tutti propensi a fare i gladiatori piuttosto che gli atleti.

Chissà forse sarà bene che ogni genitore imiti quel Mister che stringe le mani dei propri campioni, tutti, nessuno escluso, perché ognuno è il suo campione, ciascuno è il campione di tutti noi, con i nostri magoni, le nostre lacrime, la gioia per i nostri figli che hanno perso, che hanno vinto, che hanno dato tutto quello che potevano dare per farci sentire orgogliosi di loro.

A ben pensarci chi non potrà sentirsi orgoglioso del proprio operato-ruolo, sarà nuovamente il mondo di quanti mandano i propri figli a imparare cos’è la dignità, cos’è la libertà, ma fa di tutto per non apprendere che il rispetto si impara solo con il buon esempio.