Il Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia

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Il Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: preambolo di vita

di Margherita Marzario

Abstract: C’è sempre da imparare dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, a cominciare dal suo Preambolo

Un capoverso fondamentale del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è sicuramente quello relativo alla famiglia definita quale “ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli”.
Una famiglia per essere salda è necessario che lo siano prima le singole persone (nel senso di adultità, maturità), poi la coppia – formata da quelle singole persone – che cresce come coppia generando successivamente e continuamente quell’amore da cui nascono i figli e in cui sono educati i figli.
Una coppia raggiunge l’equilibrio quando supera la dipendenza o l’indipendenza e vive nell’interdipendenza. “Nasce non tanto da una mancanza, quanto dalla sovrabbondanza: si dona dopo aver ricevuto. È una forza unificante che precede e muove verso l’altro, verso la perfezione, in una dinamica tesa alla coesione della vita. E con la vita condivide l’essere capace di dare inizio: ogni atto d’amore apre una nuova possibilità per il mondo, inaugura una promessa di guarigione dalle ferite dell’esistenza” (il filosofo Vittorio Possenti). Una storia d’amore non può nascere dai propri nodi irrisolti perché rischia di essere patologica o patogena e l’amore, in quanto tale, non può essere patologico anche perché si sarebbe egoisti nei confronti di eventuali figli. Solo da un amore consapevole e maturo la famiglia diviene “ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli”.
Lo studioso gesuita Giovanni Cucci, esperto di psicologia, richiama: “Un ragazzo ha bisogno di un padre e di una madre che gli vogliano bene: questa verità, considerata come ovvia in tutti i tempi e in tutte le culture, sembra essere dimenticata da una società smarrita, che abbonda del superfluo ma manca dell’essenziale”. Si tende sempre più a confondere i propri desideri con i propri diritti dimenticando o calpestando i diritti altrui; bisogna tornare alla natura prendendo esempio dagli animali (dagli elefanti ai pinguini) e ricordando quella naturalità della famiglia di cui si parla nel Preambolo.
La naturalità è fonte di felicità. “Non potremo essere felici se non avremo qualcuno con cui parlare della nostra felicità. Non sono le cose che ci rendono felici, sono le persone che ci rendono felici” (cit.). Famiglia è etimologicamente “rendere servizio l’uno all’altro” e, pertanto, fecondità d’amore: questa è la felicità. Se si comprendesse la semplicità e la normalità di ciò, ci sarebbe meno conflittualità e si riconoscerebbe che “il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione).
In famiglia ci si mette l’uno al servizio dell’altro anche nel narrare e narrarsi. “Se il libro diventa un’occasione privilegiata di comunicazione tra adulto e bambino, non ci saranno più il grande che insegna e il piccolo che impara, spesso controvoglia. Ma due esseri alla pari, entrambi coinvolti dalla magia del racconto” (Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo). Il racconto è fondamentale per la costituzione dell’identità, quella che il filosofo francese Paul Ricoeur chiamava “identità narrativa”. “Racconto” comincia col prefisso “ra-”, che ha la stessa origine e lo stesso significato di “azione e reazione, andata e ritorno” del prefisso “ri-” o “re-”, con cui comincia la parola “relazione”. Questo a conferma di come il raccontare e il raccontarsi siano connaturali e, pertanto, essenziali alla relazione, soprattutto intergenerazionale. Si contribuisce anche in tal modo alla realizzazione dell’ambiente familiare e di quell’atmosfera di felicità, amore e comprensione necessari per il pieno ed armonioso sviluppo della personalità del fanciullo (dal Preambolo della CRC).
I primi artefici dell’atmosfera di felicità, amore e comprensione per i propri figli, e per tutti, sono i genitori: “Non si può che condividere il pensiero di Nelson Mandela – scrive Ada Fonzi –, per il quale «gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare possono anche imparare ad amare». Dalle ricerche emergono, in primo piano, le responsabilità della famiglia e della scuola, che costituiscono le più importanti agenzie di socializzazione. I dati confermano con chiarezza che esiste una stretta correlazione positiva tra la prosocialità dei figli e quella dei genitori a qualsiasi latitudine, dalla Tanzania agli Stati Uniti”.
Il filosofo Adriano Fabris specifica: “Siamo esseri aperti a relazioni e capaci di viverle fino in fondo. Siamo uomini e donne che nascono al mondo, in grado di ricominciare da capo, di trasfigurarci. Siamo insomma caratterizzati da possibilità: a differenza delle cose, che non possono cambiare rispetto a quello che sono. […] La felicità, infatti, non consiste solo nel soddisfacimento di quei bisogni che il nostro corpo spinge ad appagare. E non consiste neppure, unicamente, nella realizzazione di quei desideri, più o meno elevati, da cui siamo spinti e orientati nei nostri progetti di vita. Infatti, come mostra già la saggezza degli antichi, il conseguimento di questi obiettivi non dipende completamente da noi. Ma la felicità non sta neanche nell’autosufficienza, nell’isolamento, nel limitarsi a cercare solo quanto è in nostro potere raggiungere. Ciò finirebbe per quel senso d’infinito che nell’essere umano è sempre vivo e presente”. Bisogna educarsi per educare, poi, i bambini che la felicità è nell’essere persone e nelle relazioni fra persone. Ecco perché, nel Preambolo, il riferimento alla felicità è seguito dalle parole “amore e comprensione”.
Non solo, anche la crescente segnalazione del disturbo da deficit di attenzione (ADHD) dei bambini, come pure altri disturbi (dal comportamento alimentare al linguaggio), è una richiesta sempre più allarmante di attenzione indirizzata agli adulti. Il deficit d’attenzione riguarda proprio questi ultimi, sempre meno adulti e più “adultescenti”, concentrati e accentrati su loro stessi. Per l’educazione dei bambini non occorrono diagnosi e certificazioni (o addirittura psicofarmaci) ma, piuttosto, ricordarsi (e impegnarsi in tale direzione) che “il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”. Si pensi, per esempio, a quanto fanno i cosiddetti “genitori manipolatori”: Isabelle Nazare-Aga, terapeuta comportamentale e cognitiva, così li descrive: “Sono persone che impongono la loro superiorità e la rivendicano come un fatto indiscutibile, instillando nella vittima una confusione mentale mista a un senso di colpa. Regnano come autorevoli sovrani e i loro stati d’animo dettano l’atmosfera del gruppo famigliare”. I genitori manipolatori, deturpando l’atmosfera di felicità, amore e comprensione, causano danni non solo ai loro figli ma a tutta l’infanzia e al benessere di tutti.
“Co-costruttori” della felicità dei bambini sono i nonni. “La presenza dei nonni in famiglia merita particolare attenzione, essi costituiscono l’anello di congiunzione tra le generazioni, e assicurano un equilibrio psico-affettivo” (dalla relazione finale del Sinodo sulla famiglia, n.18, 2015). Le relazioni dei nonni con i nipoti non sono (o non sono solo) i contenuti dei diritti relazionali (che possono essere rivendicati in sede giudiziaria), ma sono consustanziali all’infanzia stessa. I nonni sono depositari di felicità, amore e comprensione.
Ada Fonzi precisa: “Arriverà poi il momento in cui il nipote, non più bambino, si distaccherà in qualche modo dai nonni perché il bisogno di fare nuove esperienze, di immettersi nel gruppo dei coetanei, avrà la meglio. Ma non importa. I nonni continueranno a essere latenti, dentro e dietro di lui, se il rapporto negli anni precedenti è stato intenso e proficuo”. I nonni contribuiscono al pieno ed armonioso sviluppo della personalità del fanciullo facendolo crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione.
Dalla felicità all’amore e alla comprensione: essere e ben-essere, sé e l’altro, da sé all’altro, per sé e per l’altro. La giornalista Rosanna Biffi si rivolge ai “[…] genitori che invitano i figli a rinunciare a un gioco di troppo a favore di coetanei che possiedono soltanto l’indispensabile per vivere, e a volte neppure quello. I bambini sono spugne. Anche l’educazione alla sensibilità verso gli altri è qualcosa che getta semi nelle loro personalità in formazione, così come ha un senso invitarli a dire «no» a qualche eccesso. Nelle nostre società bulimiche, dove niente basta mai e noi adulti ci rimpinziamo di oggetti, perché i figli ancora piccoli non dovrebbero farsi travolgere da sempre più giocattoli, sempre più vestiti e regali? Tanto più, allora, risultano maturi e sanamente critici le madri e i padri che in alcuni momenti li sottraggono alla tirannia delle cose, delle quali spesso si stancano in fretta” Così si trasmette la biofilia, amore per la vita.
La storica Lucetta Scaraffia sottolinea: “Di sicuro è più semplice vivere con un cane o con un gatto, ben garantiti sul piano dell’affettività, che provare a condividere la vita, a costruire insieme un futuro, ad accettare la libertà e l’indipendenza di un altro. È curioso che di tutto un metodo educativo tradizionale, finalizzato a sviluppare nei ragazzi un senso di responsabilità e di sensibilità umana verso gli altri, oggi sia rimasta solo una traccia di quello che appare più in superficie, di quello che condividiamo con gli animali domestici: l’affettività”. Bisogna passare dall’affettività per l’altro alla sensibilità verso l’altro e, poi, alla responsabilità nei confronti dell’altro, ovvero da uno stato emozionale ad uno conscio e interattivo, dallo stadio psicologico a quello socio-relazionale: “occorre preparare appieno il fanciullo […] in particolare nello spirito […] di eguaglianza e di solidarietà” (dal Preambolo).
“Perdere la fanciullezza è perdere tutto. È dubitare. È vedere le cose attraverso la nebbia fuorviante dei pregiudizi e dello scetticismo” (lo scrittore russo Boris L. Pasternak). Crescere non deve significare perdere la fanciullezza, ma vivere appieno la fanciullezza. Da una fanciullezza vissuta appieno ci si può preparare appieno ad avere una vita individuale. Un soggetto “cresciuto” (“crescere” ha la stessa radice di “creare”) può essere “allevato” (“sollevare”): non a caso nel Preambolo si parla prima di “crescere” e in seguito di “allevarlo”.
Gli esperti spiegano: “Dare regole e limiti a un bambino significa prima di tutto entrare in sintonia con lui e incanalare le sue emozioni per trasformare i suoi stati emotivi sregolati in un’occasione di crescita”. Le regole sono punti cardinali, pietre miliari cui abituare i bambini che hanno, sì, diritti ma anche doveri, perché “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società” (dal Preambolo della Convenzione).
Oltre alle regole, “ciò che guida”, servono i valori, “ciò che vale”. Lo psichiatra Eugenio Borgna afferma: “Il linguaggio oggi dominante è quello della violenza che si manifesta nel rifiuto dei valori della gentilezza, dell’ascolto, della partecipazione al dolore e alla sofferenza, della comprensione delle ragioni degli altri, delle fragilità umane, e in fondo della solidarietà. Solo questi valori umani consentono relazioni umane che non feriscono la dignità e la libertà delle persone, e che si riassumono nell’invito evangelico: ama il prossimo tuo come te stesso. Dall’indifferenza a questi valori discendono una quotidiana violenza sotterranea, nutrita di indifferenza e di egoismo, e una violenza manifesta che giunge a essere […] portatrice disumana di morte. A questo linguaggio si contrappone quello, oggi più debole e talora invisibile agli occhi del mondo, della tenerezza e della gentilezza che si muove sulla scia dei valori negati, e oscurati dalla violenza”. “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo […] in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà” (dal Preambolo). Gli adulti, prima di allevare i bambini ai valori, devono recuperare i valori, i principi ispiratori di vita e della vita, (“spirito” è menzionato due volte consecutivamente nel Preambolo e altre volte nell’articolato della Convenzione), crederci, farli crescere dentro di sé e crescerci dentro, “riconosciuto che in tutti i Paesi del mondo vi sono fanciulli che vivono in condizioni di particolare difficoltà e che è necessario accordare loro una particolare attenzione, riconosciuta l’importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli, in particolare nei Paesi in via di sviluppo” (come recitano gli ultimi due capoversi del Preambolo). Il mondo è un unico Paese in via di sviluppo in cui è necessario, doveroso e imprescindibile migliorare le condizioni dell’infanzia di tutti i bambini, di ogni bambino. Perché ogni bambino si porterà il suo essere stato bambino per il resto della vita in qualsiasi parte del mondo.