Pace e altre cose

Pace e altre cose (per una lettura ragionata di inizio anno)

di Mariacristina Grazioli

Nella cinquantaduesima Giornata mondiale della Pace occorre mobilitarsi con buoni propositi, non solo perché siamo all’inizio di un nuovo anno, ma perché gli operatori della scuola – mai davvero capaci di arrendersi – sono attenti costruttori di mondi possibili e lavorano incessantemente per dare un sincero contributo al fine di tracciare un futuro “di senso” per le nuove generazioni. Impossibile quindi aggiungere cose più significative a quelle che Papa Francesco ha voluto rimarcare, e che anche il Presidente Mattarella ha delineato nel discorso di chiusura del 2018 con chiare e sobrie sottolineature; ma impossibile anche rimanere inerti quando c’è così tanto da fare! Sarebbe dunque un bene risfogliare bei libri (tratti dalle nostre gutemberghiane librerie) che ancora regalano visioni attente e che ci spingono a riflettere su come ripartire per un ottimo anno di Pace.
Perché non riprendere in mano il sempre attuale Howard Gardner? Nel suo libro fondativo traccia percorsi indiscutibili per la valorizzazione della persona che apprende in un contesto complesso, dove l’insegnante è “capace di aprire numerose finestre sullo stesso concetto”. Nelle scuole “dovrebbe essere evidente che l’uso di molteplici punti di accesso può rivelarsi uno strumento potente e prezioso nell’affrontare concezioni errate, pregiudizi e stereotipi (…). L’adozione di molteplici prospettive nello studio di un fenomeno incoraggia lo studente a comprenderlo accostandosi a esso in modi diversi e a sviluppare numerose rappresentazioni cercando poi di collegarle”. Creare occasioni per sperimentare contesti di Pace potrebbe essere l’obiettivo della scuola nel 2019. “Raramente il destino degli individui è determinato da ciò che essi non sono in grado di fare. E’ molto più probabile che la loro vita sia forgiata invece dalle capacità che essi hanno sviluppato, le quali a loro volta sono determinate in misura significativa dal profilo di intelligenze con cui l’individuo è venuto al mondo e/o che ha coltivato fon da bambino”.
Ma la Pace non è forse questo? Costruire occasioni dove le persone liberano le loro potenzialità, abbattere stereotipi, svincolarsi dai pregiudizi? La Pace non è forse costruire Futuri possibili? Una specie di scommessa, vista la contemporaneità in cui siamo immersi. Ci viene allora in aiuto la vivace penna di Marc Augé quando analizza lucidamente la sintesi tra il futuro individuale e il futuro collettivo e le nuove paure. La scommessa sta nel leggere con attenzione il Senso, la Fede, la Scienza, senza accontentarci dei pensieri unici dominanti. L’educazione diviene una scommessa vincente quando entra nel regno dell’Utopia; “passo dopo passo, ma senza mai perdere di vista la finalità alla quale essa (l’educazione) vorrebbe rispondere. In questo settore, è importante non accontentarsi delle chiacchiere. Le affermazioni e le statistiche (per esempio quelle che riguardano il tasso di scolarizzazione) non sono sufficienti; possono persino servire da alibi alle inerzie dei colpevoli. Certo è importante che i ragazzi siano scolarizzati, ma è altrettanto importante che non vengano insegnate loro delle sciocchezze. Tenerli in classe senza preparali a nulla, o imprigionarli per indottrinarli, non deve essere confuso con l’ideale dell’educazione (…). D’ora in poi, l’utopia dell’educazione è l’unica speranza di riorientare la storia dell’uomo nella direzione dei fini”. E ancora “gli orrori del mondo non hanno diminuito la loro intensità, ma oggi non usciamo da una prova così fondamentale, identificabile e simbolica come quella della seconda guerra mondiale. Fino a prova contraria, le crisi economiche suscitano più inquietudini, più depressioni o violenze incontrollate che non reazioni intellettuali. Ecco perché l’utopia dell’educazione è utopica: non si accorda sufficientemente al momento storico per imporsi da sé”.
Insomma costruire percorsi di educazione utopica alla Pace è affare complicato; ma siamo all’inizio di un nuovo anno e non ci possiamo scoraggiare. Un altro aiuto potrebbe essere la lettura di Michael Walzerche scrive senza indugio su un vecchio e mai desueto concetto: la tolleranza. “La coesistenza pacifica (ovviamente a certe condizioni: qui non si parla di coesistenza tra padroni e schiavi) è sempre un bene. Non già perché in pratica le persone la apprezzano sempre – spesso, anzi, è vero il contrario. Che si tratti di un bene, lo dimostra il fatto che la gente è fortemente portata a dire di apprezzarla: le persone non riescono a giustificarsi né ai propri occhi né agli occhi dei propri simili, se non a condizioni di sottoscrivere il valore della coesistenza pacifica, nonché della vita e della libertà che tale valore serve”. Indagare criticamente l’atteggiamento di tolleranza comporta un’attitudine alla lucidità di pensiero e al superamento dei dogmatismi, utilizzando anche una sana spregiudicatezza; si tratta di studiare “casi complicati” e di approfondire “questioni pratiche” di tutto rispetto (il Potere, la Classe, il Genere, la Religione, al Religione civile). L’istruzione, secondo il nostro autore, comporta una tensione naturale tra il valore universale di pacifica convivenza che si costruisce all’interno delle aule e l’interferenza che si disegna all’interno delle aree sociali di appartenenza. “Dobbiamo tollerare gli intolleranti?”. Il passaggio da un progetto moderno a un progetto post moderno rende concreto un dualismo ed “esige che la differenza venga fatta oggetto di una doppia conciliazione: prima nelle singole versioni individuali e collettive e poi nelle versioni pluralistiche, diffuse, e divise (…) così, almeno per ora, la differenza deve essere tollerata due volte – a livello personale e a livello politico – con una miscela variabile (nel senso che non deve essere necessariamente per entrambi i casi) di rassegnazione, indifferenza, stoicismo, curiosità ed entusiasmo”.
Da rileggere assolutamente per ridisegnare le nostre tensioni post moderne è l’immutabile Kant; il suo ottimismo contagioso potrebbe esserci di gran giovamento nei momenti dove la sfida dell’educazione utopica alla Pace si fa più dura. Per La pace perpetua è un inno al fare nonostante tutto, superando le malvagie “reservatio mentalis” (antiche pretese da farse valere in seguito…) che per il filosofo facevano cadere in inganno e tramutavano in Pace ciò che era solo mero armistizio, semplice sospensione di ostilità. Le massime kantiane vanno rilette in senso metaforico. “Se è un dovere e nel contempo una fondata speranza realizzare uno stato di diritto pubblico anche solo mediante un’approssimazione procedente all’infinito, allora la pace perpetua, destinata a succedere a quelli che fino ad ora sono stati falsamente chiamati trattati di pace (propriamente armistizi, non una vuota idea, bensì un compito che, se svolto per gradi, si avvicina costantemente al proprio scopo poiché i periodi di tempo nei quali si compiranno simili progressi diventeranno sperabilmente sempre più brevi)”.