Pensiero impensante: speranze di crisi?

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Pensiero impensante: speranze di crisi?

di Gabriele Boselli

Forse siamo alla fine dell’INVALSI, l’istituto che meglio ha svolto attraverso la formulazione e il trattamento dei test e la pubblicizzazione dei “risultati” prestazionali un compito di stereotipizzazione/banalizzazione del pensare; ha operato di fatto per la svalorizzazione del pensiero divergente, critico e creativo. Incerto anche il persistere dell’ANVUR, l’omologa macchina di inibizione del novum nelle università. Segni un nuovo approccio al tema della valutazione?

Tremolanti lumicini

Da quasi un secolo, salvo brevi parentesi con Ermini, Valitutti e Spadolini, nessuna alta forma di pensiero è stata individuabile nei documenti ufficiali MIUR; ogni tanto qualche fugace apparizione, poi più nulla. Il pensiero è sopravvissuto nelle scuole e in qualche rara università ma a viale Trastevere non se n’è vista traccia anche perché, se mai ve ne fosse stata, non sarebbe stata visibile a causa di massicce quantità di circolari del pensiero impensante.
Le cose non sono cambiate nemmeno con il “governo del cambiamento”, però vi sono segnali di crisi del non-pensiero e della sua produzione di stupidità. Tale benvenuta crisi è mondiale, trascende i governanti e sta riverberandosi magari inconsapevolmente nell’agire di questi ultimi. Tra i segni di crisi il più incoraggiante per coloro che in questi decenni hanno continuato a pensare è l’annuncio della fine dell’INVALSI, l’organizzazione che meglio ha svolto attraverso i test e il trattamento dei risultati il suo compito di stereotipizzazione/banalizzazione del pensiero, di mortificazione del pensiero creativo. Altro segno positivo è pure la messa in questione del persistere dell’ANVUR, la corrispondente macchina di controllo del sapere accademico e degli strumenti di determinazione delle carriere universitarie.
INVALSI e ANVUR hanno vigilato, peraltro non del tutto efficacemente per la santa resistenza di docenti e dirigenti, a che la piattezza della produzione non mostrasse discontinuità, non si aprissero squarci al Novum. La prima istituzione, i cui operatori in quanto non ministeriali di ruolo sono molto controllabili e in buona parte assunti fuori da ogni graduatoria e con contratto a tempo determinato, lo ha fatto con la macchina dei test pseudo-oggettivi (la vera piattaforma programmatica riconosciuta dal sistema); la seconda con rituali come l’impact factor, meccanismo fondato sugli accordi citazionali incrociati che ha premiato i ricercatori conformisti e mortificato originalità di pensiero e autentica creatività.

Valutazione come controllo

Quel che il Potere, vecchio o “nuovo”, oligarchico o populista che sia, vuole da sempre è il controllo della funzione magistrale degli insegnanti, specie di quelli più colti e appassionati, dunque pericolosamente liberi. Al controllo dei docenti e dei ricercatori non colti e non appassionati (tanti, grazie alle ventennali e sempiternamente autoriproduttive graduatorie permanenti ad escludendos juvenes) provvede già il sistema informativo globale (TV e la prevalente massa di pressione di internet e stampa).
La scuola, dal nido all’università, è importante per chi comanda: influisce sui flussi ideali, forma, se non controllata, il pensiero critico. Nell’interesse dei gruppi che hanno ottenuto il controllo del Potere, valutare non dev’essere indomito processo di conoscenza secondo idee di valore, né attività costante di ricerca per comprendere le situazioni e introdurre cambiamenti; né attività volta alla valorizzazione di tutti, ad incrementare le consapevolezze. Nell’ottica del Potere valutare significa controllare, sorvegliare e premiare/punire.
Buono peraltro tutto ciò che può concorrere a far scena: convention di presentazione con tanto di slides e musichette, video esaltanti i successi della scuola, sfilate nordcoreane di studenti sincronizzati. E per i presidi qualche convegno in cadenti alberghi romani e promesse di riconoscimento di più elevato livello retributivo e di status dirigenziale.

Valutazione ermeneutica. Tracce

-L’egemonia della impensante concezione del mondo comporta l’efficacia come misura del valore dell’educazione, l’insegnamento non come missione ma come lavoro subordinato qualsiasi, il successo della rappresentazione come sostituto della verità .
-Cogliere nell’auspicabile scomparsa di INVALSI e ANVUR l’occasione per criticare i fondamenti politici, epistemologici, etici e pedagogici dei modelli oggettivistici di valutazione.
– Analizzare, decostruire nelle associazioni, nei collegi dei docenti e nei gruppi di lavoro il trentennale dettato trasteverino per coglierne gli elementi costitutivi e raffrontarli con principi scientificamente avanzati. Un modo per difendere meglio la funzione magistrale (da magis-stratus, posto sopra).
– I testi scolastici e soprattutto i programmi ministeriali sono la tomba delle discipline. Esplicitare dunque la precarietà e l’evolutività dei costrutti disciplinari (1) senza ingessarli in nozioni ma privilegiando la comprensione delle discipline in quanto strutture generativo-trasformazionali di comprensione di un campo di esperienza teoretica o pratica.
– Le pratiche valutative non mirino a verificare la corrispondenza delle conoscenze individuali a precostituiti statuti disciplinari ma a cercare meglio il collimare delle rappresentazioni. La valutazione del grado di conoscenza é indivisibile, non smontabile in obiettivi ovvero in frammenti posti come dotati di senso e di significato propri.
-Il viaggio attraverso le discipline seguito non può essere pianificato e temporizzato. E’ una navigazione a vento, in cui l’ ipercomplessità (analoga a quella meteorologica con cui dovevano fare i conti i naviganti di un tempo) non può essere forzata navigando a motore ossia riducendola e così rischiando effetti di archiviazione.
Valutare non è pretendere di rispecchiare il supposto valore intrinseco di una prestazione o di una persona o di una scuola ma –onestamente- riconoscere uno stato di collimazione tra i valori del valutante e quelli del valutato passando attraverso (facendosi un’esperienza) l’ipercomplessità dell’evento pedagogico e dichiarando chiaramente la soggettività individuale o del gruppo di valutazione.
– – Contribuire affinchè collegi dei docenti e consigli di facoltà non siano un’adunata di dipendenti chiamati a prendere ordini ma organi autenticamente collegiali in cui si discute, si dibatte e si prendono decisioni a maggioranza e in cui il preside è primus inter pares.

( 1) Non essendo il guaio limitato alla nostra nazione, il novum (che in quanto tale all’inizio non può disporre di conferme) non ha raramente potuto manifestarsi nelle discipline. Altro fattore concorrente alla piattezza della produzione scientifica e alla latitanza del novum nel nuovo secolo è individuabile nella riduzione della diversità linguistica. La monolingua inglese in cui si formulano, si conducono e si comunicano le ipotesi di ricerca non può più attingere nuclei ideativi alla fontana della pluralità sintattica delle varie lingue.
Da valutare anche gli effetti inibitivi della scomparsa della carta e dell’ipervelocità comunicativa di internet sulle singolarità.

Per leggere
G. Boselli, Per una valutazione delle scuole e di chi vi lavora, n. 30, annata 2011 di Encyclopaideia, Bononia University Press
Rivista Aut aut, Il saggiatore, n. 360, 2013
V. Pinto, Valutare e punire, Cronopio, 2014