Roma anni trenta!

Roma anni trenta! Quando…

di Maurizio Tiriticco

…gli spazzini spazzavano le strade e le innaffiavano anche. I fognaroli periodicamente aprivano i tombini delle strade e li ripulivano della fanghiglia che si era accumulata per le piogge. I mondezzai salivano nelle abitazioni fino agli ultimi piani con un sacco sulla spalle in cui versavano i secchi dell’immondizia che le famiglie lasciavano sui pianerottoli. Per acquistare un litro di latte della Centrale, andavi dal lattaio e dovevi restituire la bottiglia del giorno precedente, fornita dalla Centrale stessa. Per acquistare un litro d’olio, dovevi andare dal negozio “Vini e Oli” con la bottiglia, e lui te la riempiva da un contenitore metallico; egualmente per un litro di vino: ma il contenitore era una botte. Il vino veniva dai Castelli Romani con carri botte appositi, trainati da cavalli! Famosi i superbi e maestosi cavalli che trasportavano i carri con le bottiglie della Birra Peroni. Le bottiglie di birra avevano come tappo una pallina di vetro – un’invenzione inglese – e noi ragazzini le raccoglievamo e ci giocavamo.
C’erano anche i fiaschi di paglia che, una volta vuoti, la famiglia custodiva gelosamente perché potevano sempre servire… e servivano! D’estate, per il pranzo, si riempiva l’acqua alle fontanelle, i famosi nasoni, perché l’acqua era quella di Trevi o del Peschiera, ed era veramente fresca. Salivi sul tram o sull’autobus o sul filobus. Che emozione i filobus! Apparvero dopo la prima metà degli anni Trenta. Sui mezzi pubblici era obbligatorio salire dalla porta posteriore e dovevi acquistare il biglietto dal bigliettaio; poi dovevi muoverti verso la porta anteriore da dove si doveva scendere. I tramvieri avevano le loro divise nonché il berretto con visiera. Il controllore, sempre in divisa, più elegante, aveva anche lui un berretto con visiera nonché galloni e controllava e irrogava multe. I parchi erano ben tenuti: viali con ghiaia e aiuole recintate! E sempre piene di fiori! Guardie in divisa verde giravano in bicicletta e guai a calpestare un‘aiuola.
Per non dire delle prime radio in casa, primi anni trenta, e dei primi telefoni in casa, a muro! I telefoni da tavolo bianchi li vedevamo soltanto nei film. Ai cinema si proiettavano sempre due film più il documentario Luce. Al “Volturno” e a “La Fenice” c’era anche l’avanspettacolo! Le ballerineee!!! Certe cosce!!! Poi venne il sabato fascista, per non essere da meno rispetto a quel popolo di rammolliti! Quelli che avevano il sabato semifestivo! Sì! Gli inglesi! Un re che rinuncia al trono per sposare una donnina dal passato poco chiaro! “Dio stramaledica gli inglesi”: un distintivo che avevo appuntato sul fez della mia divisa da balilla moschettiere! Gli inglesi, quelli della “Perfida Albione”! Mica come il nostro re, fedele alla moglie e che ci aveva pure la Corona d’Albania ed era diventato pure Imperatore!!! D’Etiopia!!! Me cojoni!!! Come diciamo a Roma! Er sabbato inglese!!! Si! Er popolo dei cinque pasti!
Noi invece dovevamo tornare ad essere quel popolo che duemila anni prima aveva conquistato il mondo! Al Foro Romano, ripristinato dal Duce, che aveva fatto demolire un intero quartiere, l’Alessandrino, figuravano enormi tavole marmoree affisse alle mura di fronte alla Basilica di Massenzio. Sulla più grande, ancora esistente, figurava l’Impero Romano ai tempi della sua massima estensione con l’Imperatore Traiano, l’ultimo degli Antonini, che regnarono dal 96 al 138 d.C. Chemmemoriaaa!!! Allora sì che si studiava!
Il sole avrebbe dovuto domare i suoi cavalli sui nostri sette colli, come voleva il Carmen Saeculare di Orazio! Tradotto da Fausto Salvatori e musicato da Giacomo Puccini, divenne l’inno famoso del “Sole che sorgi libero e giocondo…”. E come cantavamo noi balilla! Certi che avremmo cambiato il mondo! “Se ci serve un’altra terra, piglieremo l’Inghilterra! Se ci viene il mal di pancia, piglieremo anche la Francia!” Ed ancora: “Nizza, Savoia, Corsica fatal, Malta baluardo di romanità. Tunisi nostra sponda, monti e mar, suona la libertà! Va’, gran maestrale, urla, romba, ruggi con furor! Stranier, via! Duce, col rostro che Duilio armò, Roma fedele a te trionferà. In armi, Camicie Nere! In piedi, fratelli corsi: voi ritrovate al fin la Patria santa, la gran madre che vi amò, che vi chiamò. Con la spada, còrsi, con la fede, l’invitto Duce vi rivendicò. Di Malta lo strazio grida nel cuore d’Italia; l’audacia che irrompe e sfonda britannici navigli schianterà! Noi ti riconquistiam con Garibaldi Nizza, Nizza,col tuo biondo marinar! Vinceremo, Duce, vinceremo! Tu sei la gloria, l’avvenir!”. Insomma! Un progetto più che ambizioso! Cazzarola!!! Facevamo sul serio! E qui mi fermo…
Possiamo dire con il senno del poi che l’intero Paese si sarebbe dovuto fermare… almeno al 1937, prima del varo delle leggi razziali, o a quel 9 giugno del 1940! La guerra! Perché il pomeriggio del giorno successivo dal balcone di Piazza Venezia il Duce tenne uno dei suoi più famosi discorsi! Ecco l’incipit: “Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania. Ascoltate. Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia…”. La piazza in visibilio! Applausi scroscianti e grida: Duce! Duce! Duce!… “Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano….” E guerra fu! Poi vennero le canzoni di guerra! La più impegnativa: “Temprata da mille passioni, la voce d’Italia squillò: centurie, coorti, legioni, in piedi che l’ora suonò! Avanti gioventù, ogni vincolo, ogni ostacolo superiamo! Spezziam la schiavitù che ci soffoca prigionieri nel nostro mar! Vincere! Vincere! Vincere! E vinceremo, in terra, in cielo e in mare! È la parola d’ordine d’una suprema volontà! Vincere! Vincere! Vincere! Ad ogni costo, nessun ci fermerà!…”. Ed ancora: “Battaglioni del Duce battaglioni, della morte, creati per la vita: a primavera s’apre la partita, i continenti fanno fiamme e fior. Per vincere ci vogliono i leoni di Mussolini armati di valor.
Torniamo alla nostra vita degli anni di pace! La casa! In cucina sopra il lavandino appesi alla parete avevamo tre contenitori, o meglio tre barattoli: uno per la pomice, l’altro per la soda, il terzo per la sabbia; con cui si lavavano piatti e pentole utilizzando l’acqua calda con cui avevamo cotto la pasta. Si poneva il burro nel lavandino sotto un filo d’acqua fredda che lo manteneva fresco. La carta paglierina con cui il salumiere o il fornaio ci avvolgeva i suoi prodotti serviva anche come carta igienica. Il fornaio o il pizzicagnolo (a Roma meglio noto come pizzicarolo) faceva i conti sulla busta di carta giallastra in cui avvolgeva i tuoi acquisti con una matita che teneva sempre sull’orecchio; non ti rilasciava alcuno scontrino perché non c’era alcuna macchina contabile.
Al mercato si acquistavano soprattutto frutta e verdura, che veniva pesata con la stadera: “una bilancia a bracci disuguali, appesa ad un gancio; sul braccio più lungo, che può recare una o più scale graduate (di solito due), scorre un peso, detto romano; su quello più corto c’è un piatto che contiene la merce da pesare”; e sul prezzo spesso le discussioni erano interminabili: cinque centesimi della vecchia lira erano cinque centesimi! I poveri, alla fine delle ore di mercato, cercavano qualche resto utile tra i rifiuti che poi scopini addetti (ancora non erano operatori ecologici) raccoglievano. Le mamme lavavano i panni nella vasca da bagno avvalendosi di una tavola fatta apposta per questo uso; e usavano una sorta di mattoncini di sapone giallastro (10 x 7 x 5) adatto per il bucato. I panni si stendevano ai balconi o alle finestre. E poi si stirava! Quanto si stirava! Fortunatamente i ferri elettrici avevano sostituito quelli a carbonella!
Noi ragazzini ci facevamo i carrettini che avevano come ruote dei cuscinetti a sfera; facevamo collezione di figurine e ce le scambiavamo. E giocavamo a nizza: troppo complicato per spiegare! Quando fu lanciato il concorso delle “Figurine Perugina”, ci fu un impazzimento generale! Tutti in cerca del Feroce Saladino, una delle figurine più rare. Alla radio cantava il quartetto Cetra. E Carlo Buti cantava: “Se vuoi goder la vita vieni quaggiù in campagna, é tutta un’altra cosa vedi il mondo color di rosa, quest’aria deliziosa non é l’aria della città. Se vuoi goder la vita, devi venir in campagna; è tutta un’altra cosa, vedi il mondo color di rosa, e quell’aria deliziosa non è quella della città. Svegliati con il gallo, specchiati sul ruscello, bacia la tua compagna che ti accompagna sul somarello…” Ma c’erano anche le canzoni di guerra! La Saga di Giarabub, la più triste: “Inchiodata sul palmeto veglia immobile la luna. A cavallo della duna sta l’antico minareto. Squilli, macchine, bandiere, scoppi, sangue! Dimmi tu, che succede, cammelliere? È la sagra di Giarabub! Colonnello, non voglio il pane, dammi il piombo del mio moschetto! C’è la terra del mio sacchetto che per oggi mi basterà. Colonnello, non voglio l’acqua, dammi il fuoco distruggitore! Con il sangue di questo cuore La mia sete si spegnerà”. E poi la più nota, cantata anche dai nemici, dai soldati americani: “Tutte le sere sotto quel fanal presso la caserma ti stavo ad aspettar. Anche stasera aspetterò, e tutto il mondo scorderò. Con te Lili Marleen, con te Lili Marleen. O trombettiere stasera non suonar, una volta ancorala voglio salutar”.
Insomma, potrei continuare all’infinito! Era, o almeno sembrava, chissà… era un mondo più semplice, anche perché ero un adolescente! Sapientemente indottrinato! O forse perché c’era il pensiero unico. In realtà, guai a sgarrare! Le barzellette su Mussolini venivano dette a denti stretti! Ma il “sabato fascista” a scuola tutti in divisa, anche gli insegnanti! E il pomeriggio adunata!!! Balilla e avanguardisti! Trombettieri, tamburini, mazzieri! Piccole italiane e Giovani italiane! E si sfilava! Fieri di avere restaurato la Roma imperiale dei Cesari! Ma dopo…