Indicazioni nazionali: quale spazio per Cittadinanza e Costituzione?

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Bozza delle Indicazioni nazionali per le scuole dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione. Quale spazio per Cittadinanza e Costituzione?

di Luciano Corradini

Fra i paradossi della storia ce n’è uno che riguarda la nostra società di oggi, e in particolare la nostra scuola. Lo esprimo in questo modo. Più abbiamo bisogno di fornire ai giovani bussole e carte nautiche per orientarsi e navigare nel mare tempestoso della società globale, meno valorizziamo gli strumenti fondamentali di cui disponiamo.

Avendo studiato nel liceo e nell’università negli anni ’50 e successivamente insegnato nelle medie, nei licei, nei tecnici e in 4 università, ho solcato diversi mari, imbattendomi in diversi strumenti di navigazione offerti dai mercati culturali, pedagogici, economici  e politici. Tirando le somme, direi che gli strumenti più affidabili, condivisibili, potenti di cui gli insegnanti italiani dispongono per capire dove sono, per orientarsi a “sortirne insieme” con i giovani, come Mosè ed Enea con i rispettivi popoli in fuga, alla ricerca di una patria futura, questi strumenti, ne sono convinto, sono i 139 articoli della Costituzione italiana e i 30 articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani. Risalgono al biennio 1947-1948, successivo alla seconda guerra mondiale, anche se diversi articoli della seconda parte Costituzione sono stati successivamente modificati . Purtroppo si danno spesso per conosciuti, ma non sono per lo più letti, approfonditi, ricordati e utilizzati durante la navigazione.

Eppure il Preambolo dice che Dichiarazione universale dei diritti umani è proclamata “al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto, tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione”. Parole pesanti e chiare. Non generico auspicio, ma messaggio nella bottiglia inviato dai naufraghi della guerra a tutti, piccoli e grandi, per evitare altri naufragi. Non lettera del nonno, scritta per commuovere i nipoti e per finire in un cassetto, ma manuale di bordo. Lo stesso vale per la nostra Costituzione.

Il patto costituzionale, frutto di “alto compromesso”, non è solo un episodio che si affianchi ad altri episodi storici del ‘900, ma è insieme anima e legge fondativa della nostra Repubblica democratica, il cui ordinamento fa tutt’uno con la ratio storica, culturale e morale che lo ha ispirato: allora e per il futuro.

Ricordo che lo stesso giorno in cui fu varata la Costituzione, il 22 dicembre 1947, l’Assemblea Costituente approvò all’unanimità, con prolungati applausi, l’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Moro, Franceschini, Ferrarese, Sartor, in cui si esprimeva il voto “che la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano”. Sottolineo adeguato posto e senza indugio.

Si avvertì fin dal 22 dicembre 1947 che l’educazione era la condizione per la comprensione di questa ratio, dei diritti e dei doveri connessi con la dignità della persona, e della tenuta e dell’ordinamento democratico. Pieno sviluppo della persona umana e partecipazione all’organizzazione politica economica e sociale del Paese sono le finalità supreme di quest’ordinamento, che è stato pensato in una prospettiva intrinsecamente pedagogica. Non aut aut, fra persona e democrazia, fra persona, cittadino e lavoratore, ma et et. E’ la “cattedrale” disegnata nel 2° comma dell’articolo 3. Non solo parole, ma concetti guida, sperimentati col sangue.

La Costituzione, prima che scritta e votata, è stata intravista da chi ha sognato una nuova Italia: basti leggere qualche lettera dei condannati a morte della Resistenza, per esempio quella di Giacomo Ulivi, giovane studente di giurisprudenza, fucilato a 23 anni nel 1944. Di lì si possono trarre indicazioni per capire dove eravamo e dove siamo, e spunti per educare i ragazzi a sognare, a pensare, a progettare, a partecipare. Il 25 aprile 1945 è stato una sorta di “Pasqua civile”. Il testo costituzionale, che ne è frutto, è un patto sociale, civile, politico e giuridico che ha del miracoloso, se lo si confronta con la situazione della politica di oggi. E’ fra l’altro il nucleo generativo di tutte le “educazioni”, di tutti i “saperi”, di tutte le “competenze” che sono emerse in ordine sparso nella storia pedagogico scolastica degli ultimi 60 anni.

Più volte si è detto che la Costituzione entrava nella scuola, con l’educazione civica di Aldo Moro (1958), con la nuova scuola media di Gui (1963), con i decreti delegati (1974), con la 517 (1977), e con i nuovi programmi della media (1979) di Malfatti, con lo Statuto delle studentesse e degli studenti  (1998) e col dpr 275 relativo all’autonomia (2000) di Berlinguer, con la legge delega 53 (2003) della Moratti, e infine con la legge 169/2008 della Gelmini, che introduce “nelle aree storico geografica e storico sociale della scuola del primo e del secondo ciclo conoscenze e competenze relative a cittadinanza e Costituzione”.

La Costituzione è stata sempre citata, ma non ha sempre ispirato coerenti scelte legislative e amministrative delle maggioranze politiche parlamentari e governative.  E’ stata invocata spesso (esemplare in proposito la tesi di don Milani) come metro per misurare e criticare la prassi dell’amministrazione e della vita scolastica. Non la si è dimenticata, ma negli ultimi anni la si tratta come certi beni culturali, che finiscono negli scantinati, o che trovano precarie citazioni nelle Premesse, salvo sparire nella denominazione e nel contenuto dei curricoli.

Di fatto, e non solo per il mancato spazio riconosciuto all’educazione civica, non si è riusciti, in complesso, a educare secondo Costituzione e a insegnarla in modo da farla conoscere, capire e amare. La sfida continua, anche perché, per definizione, la realtà è sempre al di sotto dei principi e dei valori affermati. Tanto che qualcuno pensa che questi valori siano fantasie.  E’ questo il pericolo di fronte al quale si trovano le ultime generazioni, che hanno perso il contatto con l’esperienza vissuta negli anni ’40. Allora si capì che gli ideali sono più pratici delle ideologie e più utili degli interessi. Oggi si pensa il contrario.

Negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi del nuovo si tende a ributtare anche la Costituzione e la Dichiarazione nel gran mare della storia e della geografia, senza dar loro il rilievo teorico-pratico che posseggono per la vita, l’organizzazione, la cultura scolastica. Sia chiaro che sono strumenti, non icone da venerare. Non si venera un manuale, ma lo si apprezza e lo si utilizza per quello che vale e per quello che ci aiuta a fare nella vita quotidiana.

Dal 1958 al 2008 diverse minoranze tenaci hanno cercato di vivere e di realizzare le 4 linee pedagogico-didattiche previste dal dpr di Moro nei Programmi d’insegnamento dell’educazione civica e di “rinforzare”, attualizzandolo, quel decreto, che reca il numero 585 e la data del 13 giugno 1958. Queste minoranze hanno subito la sorte del Colombo di Pascarella,, ne La Scoperta dell’America: “Lui parlava, ma manco lo sentiveno;
e più lui s’ammazzava pe’ scoprilla
e più quell’antri je la ricopriveno”.

Nel 1996, con la direttiva 8.2.1996 n.58, è parso di raggiungere qualche risultato istituzionalmente efficace per arricchire e irrobustire quel dpr. Basti pensare al documento Nuove dimensioni formative, educazione civica e cultura costituzionale, allegato alla citata direttiva del ministro Lombardi, approvata all’unanimità dal CNPI. Poi diverse correnti politiche, culturali e sindacali hanno risospinto la barca al largo e la Costituzione è finita di nuovo tra i marosi (o nella stiva, per i più benevoli). In fondo è molto democratico dire che tutti sono  abilitati a insegnare la Costituzione come valore trasversale. E poi ci sono già troppe materie…

Cittadinanza e Costituzione, frutto della legge 30.10.2008, n. 169, ha deluso molti, perché non è diventata una disciplina autonoma. Lo ha denunciato la Repubblica, con parole dure. Non tutto però sembrava perduto ai più ottimisti. Con un po’ di buona volontà, si possono trovare nei dpr del 15.3.2010 relativi alle Linee guida degli istituti professionali e tecnici (nn. 87 e 88) e nelle Indicazioni nazionali per i licei (n.89), oltre a diritto ed economia, dove sono rimaste, anche raccomandazioni utili, per quanto C&C sia priva di orario proprio o almeno di denominazione specifica accanto alla storia.

Per la CM 27.10.2010, firmata da Mario Dutto “l’insegnamento/apprendimento di C&C diventa un obiettivo irrinunciabile di tutte le scuole”; “è un insegnamento con propri contenuti che devono trovare un tempo dedicato per essere conosciuti e gradualmente approfonditi”, secondo una dimensione integrata nell’area storico-geografico-sociale e secondo una dimensione trasversale, che riguarda tutte le discipline.

Ora è giunto il turno delle Indicazioni nazionali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo. Non si è riscritto un terzo testo, dopo le Indicazioni nazionali della Moratti e le Indicazioni curricolari di Fioroni. Il testo è quello di Fioroni, con alcune ulteriori semplificazioni e messe a punto. Le bozze sono offerte alla consultazione delle scuole, entro il 30 giugno. Dunque il cantiere è ancora aperto. Si riapre, forse per l’ultima volta, la speranza di riprendere a bordo o di togliere dalla stiva i manuali di cui si diceva: almeno la Costituzione, che comprende in nuce anche la Dichiarazione, aprendo per di più l’Italia all’Europa e al mondo.