L’esame di maturità e l’eterna mania di cambiare formula

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da Corriere della sera

Paolo Di Stefano

Migliaia di studenti sono scesi in piazza per protestare contro la nuova maturità. Chi mettendo insieme Renzi, Salvini, Di Maio e Bussetti sotto un unico striscione: «Bocciati!». Chi bocciando ora l’uno ora l’altro. Chi invocando, un po’ a capocchia, «Siamo tutti Mimmo Lucano». Al netto della confusione di temi e rivendicazioni, è vero che sarebbe sano e per tutti molto rilassante imporre una moratoria al furore riformistico sulla maturità: una sorta di ossessione. Da oltre un trentennio ognuno ha la sua ricettina pronta, chi la vuole rovesciare, chi ritoccare appena appena, chi aggiustare, chi semplificare, chi complicare. Fatto sta che il primo pensiero è: la maturità! Sarà che spesso viene vissuta come un trauma, ma non c’è ministro dell’Istruzione che non ambisca a lasciare il suo ricordino, come un segno di Zorro, sul corpo già stravolto dell’esame di Stato: Luigi Berlinguer cambiò quasi tutto: le commissioni, le prove, i punteggi, e introdusse i crediti; Letizia Moratti volle solo membri interni e un presidente esterno; Fioroni tornò alle commissioni miste e ridimensionò i crediti; Gelmini volle per l’ammissione la sufficienza in tutte le materie; Profumo introdusse un sistema criptato per l’invio delle tracce; Giannini pretese che si valorizzasse l’alternanza scuola-lavoro; Fedeli tra l’altro impose le prove Invalsi come criterio di ammissione e corresse il punteggio. Bussetti, infine, ha cambiato il numero delle prove scritte e il sistema di voto.

La coazione a mettere le mani sulla maturità è il primo riflesso automatico di ogni governo di qualsivoglia colore politico. Arriverà mai un ministro tanto lungimirante da fregarsene dell’esame di Stato?