Liliana Segre “Ministro, ci ripensi non rubiamo il passato ai ragazzi”

da la Repubblica

Simonetta Fiori

La senatrice a vita lancia un appello a Bussetti, titolare dell’Istruzione, perché ripristini la storia all’esame di maturità già dal prossimo anno scolastico. ” Che cosa succederà quando noi testimoni della Shoah non ci saremo più?”

«Un esame di maturità senza la storia mi fa paura. Per questo chiederò al ministro Bussetti di ripensarci». A Liliana Segre proprio non va giù. Da quattro mesi dà battaglia per sapere come sia stato possibile che il Miur abbia soppresso la traccia storica dalla prima prova scritta della maturità. Si è anche fatta promotrice di un “affare assegnato” che in linguaggio tecnico vuol dire promuovere una piccola indagine — in questo caso affidata alla Commissione Cultura del Senato — per sapere da che cosa sia nata la decisione del ministero di cancellare la traccia storica. I lavori parlamentari non sono ancora cominciati. «E ora da cittadina ho chiesto un incontro con il ministro».

Cosa vuole dirgli?

«Vorrei capire il perché della soppressione della storia, che ritengo un atto molto grave. Io mi sono sempre occupata di memoria.

Ma memoria e storia vanno insieme. Da trent’anni rendo testimonianza sulla Shoah nelle scuole, e vedo la fatica che talvolta fanno i professori per contestualizzare il mio racconto. Può capitare che nell’ultima classe delle superiori non si arrivi a svolgere l’intero programma e ci si fermi alla Grande Guerra. Invece sarebbe utile studiare i totalitarismi, i genocidi e la complessità di tutto il Secolo Breve».

Che cosa le fa più paura di questa cancellazione?

«Ormai gli ultimi testimoni dell’Olocausto stanno sparendo. Tra carnefici e vittime, siamo morti quasi tutti».

Perché dice “siamo”?

«Sono una voce che grida nel deserto dei morti. E cosa succederà quando non ci saremo più? La storia è sempre manipolabile. E, dopo che verranno meno gli ultimi sopravvissuti, la Shoah diventerà una riga nei libri di storia. E più tardi ancora, non ci sarà neppure quella.

Ricorda 1984 di Orwell?».

La storia completamente riscritta dal Partito Unico. E gli slogan: “Chi controlla il passato controlla il futuro. E chi controlla il presente controlla il passato”.

«Nessuno è riuscito a dirlo meglio dello scrittore inglese. E trovo assurdo che in tempi come i nostri — nel segno delle parole d’odio — il ministero dell’Istruzione sancisca la marginalità della storia. Devo confessare che, dinanzi alla decisione di cancellarne la traccia alla maturità, sono rimasta sbigottita ma non totalmente sorpresa: come se mi fosse arrivata la conferma triste di tanti segnali registrati negli ultimi anni. Le cose non arrivano mai di colpo, ma sono l’esito di lunghi processi».

Da senatrice ha avviato una sorta di indagine.

«Sì, “un affare assegnato” alla VII Commissione del Senato, ma i lavori sono ancora fermi. Ciascun gruppo ha indicato gli esperti e gli studiosi da ascoltare, ma le audizioni non sono state ancora calendarizzate. Capisco che ci siano delle priorità, ma sarebbe opportuno partire tempestivamente. Anche per arrivare in tempo per il prossimo anno scolastico: mi piacerebbe che la traccia di storia venisse ripristinata».

L’indagine accerterà le motivazioni della decisione ministeriale. Ma si conosce già la risposta del Miur.

«Ah certo, ci diranno che, negli ultimi otto anni, meno del 3 per cento degli studenti ha scelto la traccia storica. Troppo pochi».

Così hanno preferito sopprimere la traccia di storia, invece che chiedersi perché così pochi la scegliessero.

«È questo il punto. Non ci si pone il problema di come venga insegnata.

I docenti sono ancora capaci di rendere affascinante lo studio del passato? Lo dico con grande rispetto per figure eroiche che in Italia non vedono riconosciuto il proprio ruolo. Che entusiasmo si può coltivare con una remunerazione che svilisce?

Detto ciò, io mi imbatto spesso in professori molto bravi e nutro una gratitudine enorme per quello che riescono a fare».

È un problema anche di orari.

Da quest’anno, nel biennio degli istituti professionali la disciplina è ridotta a un’ora settimanale.

«Ma che ci fai con un’ora di storia alla settimana? Forse che chi è destinato al mondo del lavoro debba rinunciare a una bussola fondamentale per orientarsi nel presente? Penso anche al rapporto con la città e con i propri monumenti. In Italia possediamo la più alta percentuale del patrimonio artistico mondiale e non siamo in grado di fornire agli studenti gli strumenti per capire questi capolavori. Tra un po’ passando davanti al Colosseo si penserà che sia un’opera pubblica incompiuta progettata quarant’anni fa».

Lei ha detto una volta: senza la storia non si diventa uomini.

«È quello che penso. L’ho anche sperimentato in prima persona. Io ho imparato molto dallo studio della storia».

A lei è capitato di essere fagocitata dalla storia prima ancora di studiarla.

«Questo è vero. Avevo tredici anni quando mi caricarono sul treno per Auschwitz. E della storia d’Italia sapevo poco. Avevo fatto in tempo a studiare Garibaldi, che l’iconografia patriottica mostrava accolto tra applausi nel Sud della penisola. Solo più tardi avrei conosciuto la complessità del Risorgimento».

Riprese gli studi storici dopo essere stata liberata. In che modo l’hanno aiutata a crescere?

«Da privatista feci cinque anni in uno, in un accumulo di nozioni e letture. Ma la storia mi appassionava in un modo speciale, forse perché mi mostrava in che modo la vita dei paesi e delle comunità potesse cambiare forma. Mi concentravo sull’Europa, sulle sue rivoluzioni e sulla formazioni degli Stati nazionali. Capivo perché i latini definissero la storia magistra vitae ».

Cercava di dare un senso alla sua esperienza ad Auschwitz?

«No, questo sarebbe accaduto più tardi. Nel dopoguerra ho cercato se non di dimenticare — questo è impossibile — certo di mettere da parte il lager. La resa dei conti anche storica sarebbe arrivata più tardi».

E dopo l’ha aiutata a capire?

«Ho approfondito sul piano delle conoscenze, ma non ho mai avuta la risposta che cercavo. Continuo a leggere moltissimi saggi sulla Shoah, ma la risposta continuo a non averla».

Alla campagna per lo studio della storia lei ha affiancato un’altra battaglia che è il disegno di legge contro le parole dell’odio. C’è una relazione?

«Sì, c’è un filo comune. Se si ammettono le parole dell’odio nel contesto pubblico, se si accoglie lo hate speech nella ritualità del quotidiano, si legittimano rapporti imbarbariti. Io l’odio l’ho visto. L’ho sofferto. E so dove può portare. Per questo vado a parlare con gli studenti. Gli racconto un passato figlio dell’odio e del rancore disumano e loro mi ascoltano con un’attenzione di cui non smetto di essergli grata».

Arriviamo così al paradosso: in realtà i ragazzi sono affamati di storia.

«Sì, semmai sono stati gli adulti a ridurla a merce d’antiquariato, inutile e fuori moda. Ecco, al ministro Bussetti vorrei riuscire a dire anche questo. Non rubiamo la storia ai nostri ragazzi. Ne hanno un immenso bisogno».