La nuova maturità alla prova del merito

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

«Tutti gli anni, quando viene luglio, l’angosciosa storia si ripete e mi risveglio con il cuore che mi scoppia». È così che il protagonista di un racconto di Giovannino Guareschi descrive il suo incubo per la maturità. Talmente ricorrente da ripresentarsi, tutte le estati, per 21 anni. Fino all’arrivo, anche in sogno, dell’agognata promozione. Il tono, tipico dello scrittore emiliano, è scanzonato. Ma centra lo stato d’animo con cui gli studenti affrontano l’ultimo atto delle superiori. Specie quest’anno che giunge al traguardo la riforma voluta dal centrosinistra e completata dal governo gialloverde. Di fatto – come spiega la guida del Sole 24 Ore in edicola domani, in concomitanza con la terza giornata di simulazioni nazionali dell’esame di Stato – cambia un po’ tutto: dal numero di prove alla loro struttura fino ai criteri di valutazione. Resta da capire se il restyling risolverà il mismatch territoriale che attanaglia l’Italia dell’istruzione. Con i migliori ai test Invalsi ubicati al Nord e i diplomati “eccellenti” residenti al Sud.

La sperequazione tra Nord e Sud

I numeri parlano da soli. Se prendiamo i test Invalsi di seconda superiore l’Italia appare spaccata in due. Con il Centro-Nord quasi sempre sopra la media nazionale e il Mezzogiorno al di sotto. Sia in italiano sia in matematica. E se è vero che i risultati non sono direttamente confrontabili con la maturità – almeno fino all’anno prossimo quando saranno noti i dati delle prove introdotte anche in quinta (seppure senza effetto ai fini dell’esame) – è difficile spiegare razionalmente come nei tre anni successivi si verifichi un miglioramento tale da giustificare il tripudio di 100 e 100 e lode al Sud. In questo solco si inserisce il nuovo esame che inizierà il 19 giugno con la prova di italiano e proseguirà l’indomani con il secondo scritto (che sarà per la prima volta misto al liceo classico e allo scientifico). Portando in dote un paio di modifiche utili, a detta del Miur, a rendere i giudizi più uniformi. A cominciare dalle griglie di valutazione uniche per tutte le commissioni e dal potenziamento del curriculum scolastico, che varrà fino a 40 punti su 100.

L’esempio del Regno Unito

Di diverso avviso è il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, che in un articolo pubblicato venerdì scorso su questo giornale ha sottolineato come già da tempo gli atenei e i datori di lavoro non diano più alcun valore al voto di diploma giudicandolo poco o nulla attendibile. E anche l’economista Daniele Checchi la pensa così: «La conclusione del percorso di scuola secondaria dovrebbe accertare il possesso delle competenze previste nel curriculum frequentato e contribuire ad orientare il ragazzo nelle scelte successive. Ma la struttura attuale della prova di maturità – aggiunge – svolge male entrambe le funzioni. Nonostante si tratti di una prova unica sul territorio nazionale, i criteri di valutazione della stessa sono assai differenziati, come dimostrano le differenze territoriali nella distribuzione dei voti».

«Il principio di formazione delle commissioni valutatrici con insegnanti che provenivano dall’esterno – spiega ancora Checchi – poteva correggere queste distorsioni, ma per ridurre i costi il Miur ha gradatamente azzerato i commissari in trasferta. Ma non svolge neppure una funzione orientativa, perché il ragazzo non ha la possibilità di segnalare i propri interessi, ad esempio scegliendo le materie su cui chiede di essere valutato, come accade nel caso inglese».

In Inghilterra infatti l’esame consta di un primo step a 16 anni – il general certificate of secondary education che testa le competenze in inglese, matematica e scienze – a cui nei due anni successivi può seguire il diploma di abilitazione: l’“A-Level”, che è molto più specifico e serve anche a scegliere l’università. Senza sobbarcarsi la lotteria dei test di ingresso. Che invece da noi sono sempre più diffusi. E forse adesso è più evidente anche il perché.