Lettera a Franco De Anna

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Lettera a Franco De Anna

di Maurizio Tiriticco

Caro Franco! Tu invecchi e diventi sempre più saggio! Io invecchio e rincoglionisco giorno dopo giorno. Se fino a qualche tempo fa capivo poco dei tuoi pensieri e dei tuoi scritti, ora non capisco più nulla. Il tuo “inverno del nostro scontento”, pubblicato su FB, mi ha veramente… gelato e scontentato. Sono felice che tanti amici ti comprendano e apprezzino i tuoi pensieri e le tue riflessioni. In realtà tu potresti scrivere all’infinito, perché pensiero produce pensiero e parola produce parola. Ma, quando le tre P, Produzione, Parola, Pensiero si inseguono e si rincorrono l’una con l’altra/o, mi sembra di assistere ad una staffetta in cui non esiste un traguardo e gli atleti si rincorrono nella disperata ricerca di una vittoria che non c’è! In effetti tu potresti scrivere all’infinito! Forse ti arresta solo la pappa che è pronta o qualche altro umano bisogno!
Quando insegnavo, mi raccomandavo sempre con gli alunni di pensare bene prima di scrivere, e di seguire/adottare una traccia, che poi è quella classica dell’introduzione, dell’argomentazione e della conclusione. E di rispettare la “regola del capoverso”: cioè il sapere “andare a capo”, quando un argomento ha avuto il suo sviluppo e la sua conclusione! E non è una mia invenzione! Copio dalla Treccani: “Il paragrafo (o capoverso) è una porzione di testo formata da uno o più periodi e isolata da ciò che precede e ciò che segue. All’interno del paragrafo sono raggruppate porzioni di informazione omogenee, perciò il passaggio a un nuovo capoverso (il cosiddetto a capo) implica una pausa molto forte nel testo. Nell’editoria e nella scrittura con il computer il paragrafo è messo in evidenza con un breve rientro della riga di inizio del primo periodo del paragrafo o con una riga vuota tra un paragrafo e l’altro (paragrafo all’inglese)”. E non voglio tirarla lunga! Mi limito a ricordarti Quintiliano e la sua Institutio oratoria.
Gli insegnanti di lettere in genere non hanno preoccupazioni di questo tipo e si limitano a segnalare gli errori e, a volte, anche a correggerli e – i più pazienti – a riscrivere il periodo o l’intero paragrafo. In realtà l’editing di un testo non viene corretto perché, di fatto, non viene insegnato! Io stesso non l’ho appreso a scuola, ma dalla pratica redazionale! Non ero ancora laureato e cominciai a lavorare con Franco Funghi prima, poi con Gianni Rodari alla rivista dei giovani socialisti e comunisti: la prima testata era “Pattuglia”, poi divenne “Avanguardia”. Poi passai a “l’Unità”, un’altra grande scuola sotto la direzione di Pietro Ingrao. Poi ancora alla “Riforma della scuola” fondata da Dina Bertoni Jovine, con Lucio Lombardo Radice, Tullio De Mauro, Mario Alighiero Manacorda… e qui mi fermo. No! Ricordo ancora “Scuola e Città” e poi i libri per/con la Tecnodid.
Attendere al lavoro redazionale per me non era – enon è affatto per nessuno – cosa semplice. In genere, quando un autore ti passa un “testo”, tu redattore lo devi “trasformare” in un “pezzo”. Il contenuto resta tale, ma la forma è diversa! Alla faccia dell’adagio desanctisiano ”tal contenuto tal forma”. Ecco! Tu avresti bisogno di un redattore! Tutto tuo personale! Mi candido! Un abbraccio forte! Con la stima infinita per la tua intelligenza e la tua creatività! Nonché per la tua cultura e la tua memoria. Quest’ultima virtù – se di virtù si tratta – a me manca! Ed il web è stato ed è la mia salvezza. Ricordo ancora quando con l’Olivetti Lettera 22 scrivevo scrivevo scrivevo e dovevo correre alla libreria di fronte alla mia scrivania per controllare nomi, titoli, case editrici e date! Il pc e il web sono stati e sono le mie più grandi risorse! Un secondo abbraccio più forte!