Una bella storia antifascista

Una bella storia antifascista

Cinquanta anni fa i tedeschi arrestarono Stefano Siglienti, leader del Partito d’Azione, e altri antifascisti — Il diario di Ines Berlinguer, la moglie che lo liberò

Roma 1944: beffa alle SS

Roma, 19 novembre 1943, ore 11,30. Un gruppo di SS penetra nella sede del Credito Fondiario Sardo, vicino a piazza del Tritone, e arresta il vicedirettore generale, Stefano Siglienti, sospettato di essere uno degli animatori del Partito d’Azione. Testimone d’eccezione, Bruno Visentini, della stessa formazione politica: “Entravo per andare da lui in via in Arcione nel momento in cui egli scendeva le scale fra le SS che lo portavano a via Tasso. Mi guardò con sguardo affettuoso e fermo, che esprimeva il rammarico del distacco, ma insieme la virile accettazione di una conclusione e di una fine (per fortuna non fu tale), la cui eventualità e probabilità egli non aveva mai nascosto a sé’ stesso ed a ciascuno di noi”.
Iniziava così, cinquant’anni fa, la drammatica avventura di Stefano Siglienti e della moglie Ines Berlinguer (zia di Enrico) nella Roma “citta’ aperta”, occupata dai tedeschi e infestata dai “repubblichini”. “Abbiamo perduto il più importante pilastro della nostra organizzazione, è il colpo più duro che potessimo subire”, commenterà subito Emilio Lussu, uno dei massimi dirigenti del Partito d’Azione. Non era un giudizio troppo perentorio. Quando lo storico Giovanni De Luna si deciderà a pubblicare una nuova edizione della sua fondamentale Storia del Partito d’Azione (Feltrinelli, 1982), dovrà forse riconsiderare il ruolo di Siglienti nell’attività clandestina, un ruolo che emerge, se non dai documenti dell’epoca, da numerosissime testimonianze.
Nato a Sassari nel 1898, Siglienti proveniva da un’antica famiglia della buona borghesia cittadina. Il padre, avvocato dai molteplici interessi umanistici, aveva però subìto un tracollo economico. Così Stefano, Fanuccio per gli intimi, si era messo ben presto a lavorare, pur continuando gli studi. Volontario nella prima guerra mondiale, ne era tornato con una medaglia al valore. Poi, la laurea in legge, l’impiego al Credito Fondiario Sardo e alcune esperienze col movimento combattentistico locale e con il Partito Sardo d’ Azione. Infine, nel 1924, il matrimonio con Ines Berlinguer, appartenente a un’altra delle grandi famiglie sassaresi (testimone di nozze Emilio Lussu, paggetto il nipotino Enrico, di anni due). Sarà un’unione felicissima e solida, cementata anche dal comune sentimento di avversione al fascismo e allietata dalla nascita di quattro figli (il maggiore, Sergio, è l’attuale presidente della Banca Commerciale Italiana). Nel 1925 la giovane coppia si trasferiva a Roma: Siglienti proseguiva nella carriera fino ad ottenere nel 1938 l’incarico di vicedirettore generale del Credito Fondiario Sardo. E qui si era fermato, essendosi sempre rifiutato di iscriversi al partito fascista.
Infatti, sin dai primi anni romani Siglienti era entrato in rapporti con vari ambienti dell’opposizione e aveva poi aderito al movimento “Giustizia e Libertà” di Carlo Rosselli. Il suo ufficio e poi la casa di via Poma erano divenuti dei punti di riferimento sicuri per tutti i compagni di lotta. Natale 1937. “Mio marito è in piena attività – scrive Ines in alcuni suoi preziosi appunti destinati ai nipoti – Era collegato con gli esiliati, con quelli che sono al confino, con quelli che sono in carcere; Fancello, Lussu, Calace, Bauer, Rossi e tanti, tanti altri”. Naturale che nel 1942 Siglienti confluisse con gli amici di Giustizia e Libertà nel Partito d’Azione, partecipando alle varie riunioni costitutive. Ormai, pur senza cariche ufficiali, era uno dei capi riconosciuti del PdA, politicamente più vicino al liberaldemocratico La Malfa che non al socialisteggiante Lussu (di cui tra l’altro non condivideva il sardismo nel suo coté separatista). Nei concitati giorni che seguirono l’estromissione di Mussolini, il 25 luglio del 1943, subito in via Poma si riuniva il Comitato nazionale delle opposizioni (poi Comitato di Liberazione Nazionale).
Siglienti in particolare manteneva i contatti con un membro del Comitato, l’ex presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, incaricato assieme a De Gasperi, Salvatorelli, Ruini e Amendola di trattare con Badoglio l’immediata uscita dell’ Italia dalla guerra. Ma l’armistizio dell’ 8 settembre e l’arrivo dei tedeschi troncavano ogni possibilità di soluzione politica. Preso atto della situazione, la sera del 10 si ritrovavano, sempre al Credito Fondiario Sardo, Fenoaltea, Fancello, Siglienti, La Malfa, Lussu e “Cencio” Baldazzi. “E decidemmo – racconta quest’ ultimo – di riorganizzarci per la lotta clandestina. Sarebbe durata ancora nove mesi”. Nei due mesi di libertà che gli restavano, Siglienti si occupò della distribuzione dell’ “Italia Libera”, organo del PdA, di organizzare al policlinico un rifugio per falsi ammalati, di tenere collegamenti via radio con gli inglesi: coadiuvato in tutto ciò dalla moglie Ines, cui spesso toccavano compiti di staffetta. Nel frattempo, l’ampio appartamento di via Poma ospitava via via Riccardo Bauer, responsabile militare del PdA, e altre persone in pericolo, mentre serviva da punto di riferimento, per esempio, a Leo Valiani, reduce dall’esilio messicano e in procinto di trasferirsi a Milano. Inevitabile che un’attività tanto intensa finisse per essere scoperta dai tedeschi. I quali il 19 novembre del 1943 non arrestarono soltanto Siglienti, ma anche lo stato maggiore di Italia Libera, fra cui Leone Ginzburg, il letterato Carlo Muscetta e il meridionalista Manlio Rossi Doria, datisi imprudentemente convegno alla tipografia del giornale, in via Basento 55.
Siglienti, dopo un’ispezione a casa sua per fortuna senza esito, veniva trasferito alla sede delle SS, nella famigerata via Tasso. Ma dopo sole 24 ore, quando ormai temeva di essere sottoposto a tortura, era miracolosamente portato a Regina Coeli, al terzo braccio, controllato dai tedeschi. Ginzburg e Muscetta finivano invece al sesto braccio, dipendente dagli italiani e quindi molto meno rigido nella disciplina. Per poco, poiché, appena scoperta la vera identità di Ginzburg, questi e Muscetta venivano condotti anch’essi al terzo braccio. All’ esterno, la cittadinanza viveva i tragici giorni dell’occupazione tedesca. Le mogli che avevano i mariti in prigione, come Ines Berlinguer, fecero di tutto per liberarli, senza per questo trascurare la lotta clandestina (e la signora Siglienti, oggi novantaquattrenne, otterrà difatti dopo la guerra una medaglia al valor militare).
Fervevano nel frattempo i preparativi per far evadere Siglienti. Ma il 18 marzo, quando tutto era stato messo a punto, il prigioniero veniva trasferito alle caserme della Cecchignola, per essere adibito a lavori di sterro sul fronte di Anzio. Non immaginava che sarebbe stata la sua salvezza. Il 23 marzo, infatti, scattava l’ attentato di via Rasella e l’indomani i tedeschi si abbandonavano alla rappresaglia delle Fosse Ardeatine. A questo punto entrava in azione Ines, la quale otteneva di poter visitare il marito. Studiata la situazione, e fatti scappare comunque alcuni reclusi vestendoli da donna, la moglie di Siglienti e quella di Muscetta riuscirono a corrompere due guardie carcerarie austriache e a trarre in salvo i mariti.
Il 4 giugno 1944 Roma veniva liberata dagli americani. Poco dopo Siglienti sarà chiamato a far parte del primo governo Bonomi come ministro delle Finanze.

La grande fuga – Come far scappare il proprio uomo sotto il naso del nemico

Pubblichiamo due brani dal “Diario inedito di Ines Berlinguer” relativi all’ avventurosa fuga del marito dal carcere.
25 marzo 1944 – Ancora alla Cecchignola, questa volta in carrozza! Cariche di alimenti, abiti per ricambio, rasoi e altro comfort. Ci appoggiamo a una famiglia di custodi che ci mettono a disposizione una cameretta con due brande; spieghiamo che devono arrivare i mariti, che hanno finito il loro turno di lavoro dal fronte di Anzio. Intanto paghiamo la camera e diamo per i bambini della carne e della pasta. Siamo ansiosissime, si fa buio, e i nostri mariti non si vedono. Usciamo tutte e due in perlustrazione; a un certo punto sentiamo dei passi sospetti, sono dei tedeschi che ci seguono. Abbiamo paura e fuggiamo, e loro dietro. Finalmente vediamo una scritta con la Croce Rossa e bussiamo alla porta. Ci aprono e per fortuna una donna, che ci aveva visto la sera prima, dice d’ essere nostra amica e ci accompagna con grande disinvoltura in casa dei custodi. Continua la terribile, angosciosa attesa; se fosse fallita, tutto sarebbe crollato. Forse, pensiamo, non trovano la casa. Torniamo a uscire, io da una parte, la Muscetta dall’ altra. Niente! Abbiamo veramente paura. Torniamo a casa e loro, grazie a Dio, sono lì ad attenderci. Sono liberi, siamo pazzi di gioia.
26 marzo 1944 – Abbiamo passato una notte insonne, ma felice, ridendo e scherzando della strana situazione dei due evasi con le rispettive mogli, quasi nello stesso giaciglio! I nostri ospiti, ignari della verità, ci avevano confidato che al piano di sopra a noi stava il Comando delle SS della Cecchignola! Non potevamo essere guardati meglio. Di mattina presto, dopo un’accurata toilette dei nostri mariti, sbarbati, con scarpe lucidate, pantaloni stirati, lasciamo la casa e ci avviamo a Roma. Muscetta si accorge di non aver documenti, è disperato. Fanuccio ha un tesserino bilingue, rilasciato prima dell’arresto dal Credito Fondiario Sardo. Tentiamo la fortuna. A uno sbarramento ci chiedono i documenti: il tesserino bilingue, tedesco e italiano, dà via libera a Fanuccio e a me. Muscetta non si perde d’animo e, da buon napoletano, dice: “Io son con loro!”. E passa con la moglie. Tira un vento terribile, facciamo andare avanti i mariti e noi ci addossiamo a loro. Ce l’abbiamo fatta! Si vede da lontano la chiesa di S. Paolo: mai ci è apparsa e ci apparirà così bella e risplendente!

Ines Berlinguer —- da Sandro Gerbi, Corriere della Sera, 19 novembre 1993