Ventotene al Mamiani

Ventotene al Mamiani

di Maurizio Tiriticco

Stamane al Liceo “Terenzio Mamiani” di Roma” si è tenuto un interessante seminario di studi, molto affollato e partecipato, dal titolo: “L’Europa che vogliamo”. Questo è il link del programma: (https://www.liceomamiani.gov.it/pvw/app/RMLG0012/pvw_sito.php?sede_codice=RMLG0012&page=2415573). Data l’ora tarda con cui si sono conclusi i lavori del seminario e la proiezione del film “Le parole di Ventotene: Ernesto Rossi e il progetto di Europa unita”, non sono potuto intervenire. Lo faccio ora con la mia testimonianza scritta che, data la mia longevità… viene da lontano!

Voglio in primo luogo sottolineare che negli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso, nonostante avessimo perduto la guerra, la nostra voce, all’interno del concerto europeo ed internazionale, aveva non solo un alto ascolto, ma anche un considerevole peso politico. In altre parole. Il “Manifesto di Ventotene” non costituisce un unicum, una meravigliosa e costruttiva eccezione, ma una punta avanzata – se possiamo utilizzare questa espressione – dell’intero antifascismo italiano attivo in Italia e in Europa, nonché la visione di un’Europa nuova. La resistenza che molti italiani avevano opposto al fascismo aveva prodotto i suoi frutti. Sul fronte interno, ma anche sui fronti di guerra. Mi limito a qualche accenno alla guerra civile di Spagna – anni trenta – quando, con i combattenti contro i fascisti di Franco, di Mussolini e di Hitler si schierarono anche, tra i fuorusciti di molti Paesi, molti fuorusciti italiani. Erano gli antifascisti in esilio, i comunisti, i socialisti, i repubblicani, i cattolici, gli anarchici. Ricordo solo qualche nome: Carlo Rosselli, di Giustizia e Libertà, l’anarchico Camillo Berneri, il repubblicano Randolfo Pacciardi, il socialista Pietro Nenni, i comunisti, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Vittorio Vidali, Giuseppe Di VIttorio. Nella sola Brigata Garibaldi combatterono oltre tremila italiani. Il fatto è che la guerra civile di Spagna costituiva una chiave di volta. Se avessero vinto i franchisti di Francisco Franco, nell’intera Europa si sarebbe costituito un forte schieramento fascista – sovranista, per usare un aggettivo oggi in voga – e pericoloso per la pace! E infatti possiamo anche dire che la vittoria dei falangisti di Franco costituì l’anticipo di quella guerra mostruosa che solo qualche anno dopo Hitler ed, a seguire, Mussolini, scatenarono contro l’intero mondo civile!

E le finalità che la guerra nazifascista si proponeva erano mostruose! Basta leggere il “Mein Kampf”, di Adolf Hitler, una sorta di bibbia nazista! Si sosteneva che una sola razza, quella bianca, pura, ariana, avrebbe dovuto governare il mondo intero! Un disegno folle, che portò ineluttabilmente a quel folle conflitto che fu la seconda guerra mondiale. E all’olocausto! Uno sterminio che, se la follia nazista non fosse stata sconfitta, non avrebbe riguardato solo gli ebrei e i rom, ma tutti coloro che non fossero di pura razza ariana! Cioè alti, belli e robusti e, soprattutto biondi!

Questa premessa ci fa comprendere le ragioni per cui, nonostante avessimo perso la seconda guerra mondiale, il nostro Paese ebbe invece– se si può usare questa espressione – un trattamento di favore! Basta ricordare che l’intera Germania, sconfitta, venne divisa in quattro zone di occupazione, francese, inglese, statunitense, sovietica! Noi questa umiliazione non la subimmo! Fu la Resistenza a salvarci, non solo quella dei partigiani e di Bella Ciao, ma anche e soprattutto quella che veniva da lontano, nel tempo e nello spazio, dagli anni venti, dal delitto Matteotti, dal fuoriuscitismo di tanti italiani all’estero e dalla prigionia di molti altri! Non dimentichiamo che il comunista Antonio Gramsci scrisse le sue più belle lettere proprio dal carcere fascista! Il Manifesto di Ventotene non è quindi solo un testo degli esiliati in un’isola, ma è una delle tante testimonianze antifasciste, ovviamente tra le più significative! Perché va oltre l’auspicio della caduta del fascismo, per vagheggiare un sogno, quello addirittura di un’Europa Altra! Quella forse nascosta da una lunga storia di guerre e, forse, vagheggiata da tutti. Quella indicata, ad esempio, da Federico Chabod, mio maestro alla Sapienza, nel suo “Storia dell’idea d’Europa”.

Ma veniamo ora all’Europa, anzi proprio all’Idea di Europa, che animò larga parte dei nostri uomini politici e del nostro stesso popolo, che il fascismo aveva illuso come uno dei popoli eletti! Basti pensare a quella scritta che compare a caratteri cubitali sul Palazzo della Civiltà Italiana, qui a Roma: “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”. Ed alla dolorosa verità di un Paese sconfitto, di un Mussolini imprigionato, di un re fuggitivo! Umiliazioni profonde e dolorose, che la mia generazione dei ragazzi di allora soffrì terribilmente.

Dopo la fine della guerra il sogno di Ventotene comincia la sua marcia per diventare realtà. L’Europa, quella vera, quella dei popoli in pace, comincia a prendere corpo. Un sogno che, per quanto riguarda il nostro Paese viene da lontano! E precede Ventotene! Qualche nome: Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti, Giuseppe Mazzini, Carlo Pisacane! Europeisti italiani in pieno Ottocento! E poi gli europeisti del nostro Novecento: Alcide De Gasperi, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni. Ma non mancano gli europeisti europei: il tedesco Konrad Adenauer, i francesi Robert Schuman e Jean Monnet, il belga Paul Henri Spaak. Sono gli alfieri di una bella squadra, che hanno creduto all’Europa e che l’Europa l’hanno voluta costruire.

Dopo la guerra si cominciano a sottoscrivere i primi trattati. Possiamo dire in dimensione europea. Con il Trattato di Parigi del 1951 nasce la CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Viene instaurato il mercato comune per il carbone e i minerali di ferro. I sei Paesi costitutivi, Italia, Francia, Germania, BElgique, NEderland e LUXembourg (BENELUX) sopprimono i dazi doganali e le restrizioni quantitative sulle materie prime. E poi a Roma! Centro ideale di una nuova Europa! Appunto, i Trattati sottoscritti a Roma nel 1957: il Trattato che istituisce l’Euratom, la Comunità europea dell’energia atomica; il Trattato che istituisce la CEE, Comunità Economica Europea. E’ importante sottolineare che in questo trattato si considera la formazione professionale come leva delle politiche del lavoro. Come se la formazione professionale – e questo ne era forse il limite – fosse più al servizio del mercato che della persona. Insomma, è ancora resistente il concetto della formazione professionale come istruzione che possiamo definire di secondo livello, finalizzata cioè all’addestramento all’uso delle macchine nei processi lavorativi. E forse non è un caso che nella stessa nostra Costituzione, varata nel lontano 1947, si attribuisce l’istruzione professionale alla competenza delle Regioni, forse perché più vicine al lavoro cosiddetto manuale.

Negli anni successivi si hanno significativi cambiamenti. Ci si rende conto che l’evoluzione delle tecnologie, dell’automazione e dell’informatica sono in grado di trasformare i processi di lavorazione e richiedono competenze non solo manuali, ma elevate e complesse. Per cui nella Formazione Professionale il concetto e la pratica di puro e semplice addestramento vengono via via superati.

Negli anni che seguono si verificano via via profondi cambiamenti. E’ doveroso citare il cosiddetto Atto Unico, del 1987. Con questo si procede ad una revisione dei Trattati di Roma al fine di rilanciare l’integrazione europea e portare a termine la realizzazione del mercato interno. Si modificano le regole di funzionamento delle istituzioni europee e si ampliano le competenze comunitarie, in particolare nel settore della ricerca e sviluppo, dell’ambiente e della politica estera comune. Si avvia un primo embrione di Unione politica.

Si giunge così al Trattato di Maastricht. Siamo già nel 1992. Ed è di estrema importanza! La vecchia CEE, Comunità Economica Europea, sale di rango! Nasce l’Unione Europea! Dalla CEE alla UE! Un salto politico di notevole importanza e ricco di auspici! Si va oltre l’istruzione professionale! L’istruzione, nella sua interezza, viene considerata un forte fattore promozionale, anche per lo sviluppo di una sempre maggiore coscienza europea da parte delle nuove generazioni.

Nasce così la DEE, ovvero la Dimensione Europea nell’Apprendimento. Va sottolineato che con la DEE non si intendeva affatto giungere ad una rivisitazione degli ordinamenti scolastici dei singoli Paesi Membri della UE. Come dirigente tecnico, ho avuto l’onore di rappresentare l’Italia nelle numerose riunioni svolte in genere a Bruxelles, finalizzate a dar corpo a questa grande idea della DEE. Ovviamente, non si trattava di unificare percorsi scolastici che avevano storie assolutamente diverse, ma di individuare fattori che fossero in grado di individuare percorsi finalizzati alla formazione di cittadini che si sentissero anche europei, oltre a sentirsi italiani, inglesi, tedeschi, spagnoli, e via dicendo. Occorreva ricercare e ritrovare quali fossero le vie più opportune ed efficaci per realizzare tale finalità.

Lungi dal gruppo di lavoro pensare ad una modifica dei curricoli di studio nazionali. Dopo lunghe e faticose discussioni, giungemmo alla soluzione che ci sembrò più idonea. Si sarebbe trattato, da parte delle singole scuole dei Paesi dell’UE e dei loro organismi dirigenti nazionali, di individuare tre percorsi curricolari di ricerca e di studio lungo tre filoni. Individuammo, infatti, tre linee di azione; a) le comuni origini storiche, culturali e civili; una grande sfida, pensando ai numerosi secoli di guerre che gli europei hanno conosciuto e vissuto; b) la ricerca scientifica e le tecnologie; c) le competenze linguistiche, ovvero lo studio in ciascun Paese dell’UE, di almeno due lingue comunitarie, ovviamente oltre la lingua nazionale.

Il sogno di Maastricht del ’92 successivamente si arricchì di una seconda proposta. Il 15 dicembre del 2004, sempre a Maastricht, ben trentadue ministri dell’istruzione europei sottoscrivono un documento in cui si sottolinea la necessità di giungere ad un sistema unitario di formazione e qualificazione professionale per rilasciare certificazioni leggibili e spendibili in tutti i Paesi dell’Unione.

Insomma, si avviò una gara tesa a ricercare quali fossero gli elementi costanti e comuni per istruire, formare ed educare il “buon cittadino europeo”; e di quali competenze dovesse disporre.

Un esempio tra i tanti. Il Rapporto DeSeCo/Ines (DEfinition and SElection of COmpetencies), del 2003, individua ben dodici competenze ritenute essenziali per riuscire nella vita e per il buon funzionamento della società. Da allora documenti simili si sono moltiplicati fino al giorno d’oggi. Mi piace ricordare il più recente. Si tratta della Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 maggio 2018, relativa proprio alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Si tratta di un documenti lungo, complesso e articolato. Mi limito a riportare il “quadro di riferimento” con cui si delineano otto tipi di competenze chiave: 1) competenza alfabetica funzionale; 2) competenza multilinguistica; 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4) competenza digitale; 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare; 6) competenza in materia di cittadinanza; 7) competenza imprenditoriale; 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

Per concludere, posso dire che di strada per costruire l’Europa ne abbiamo costruita e percorsa tanta in questi lunghi 74 anni che ci separano dalla fine della seconda – ed ultimaaa!!! – guerra mondiale! Ovviamente va ricordato che la “caduta del muro di Berlino” (9 novembre 1989), che intenzionalmente ho virgolettato, ha segnato una tappa fondamentale perché l’Unione Europea potesse estendersi oggi anche a quei Paesi dell’Est che, per tutta la lunga durata dei due blocchi, USA ed URSS, oggi Federazione Russa, sono stati separati dalla “cortina di ferro”. Così definì la linea di separazione dei due blocchi, quello occidentale, “capitalistico”, e quello orientale, “comunista” – le virgolette sono necessarie, ma la vulgata per tanti anni le ha create e condivise – il Primo Ministro britannico Winston Churchill in un discorso tenuto al Westminster College di Fulton, in Missouri, il 5 marzo del 1946.

Oggi l’Unione Europea consta di ben 28 Paesi! Com’è noto, vènti sovranisti e populisti si stanno levando adducendo le ragioni più assurde, che qui non è il caso né di affrontare né di discutere! Voglio solo concludere che un attacco all’unità raggiunta con tanti sacrifici e fatica va assolutamente respinto! Viva l’Europa Unita! Viva l’Unione Europea! Viva l’Europa della pace!