I giornali e la crisi della cultura

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I giornali e la crisi della cultura

di Antonio Stanca

   Soprattutto in ambito umanistico, letteratura, arte, storia, filosofia, da tempo si sta assistendo, in Italia, alla tendenza a recuperare il passato, a volte anche il più remoto. Questa sta diventando la maniera seguita dalle pagine culturali di molti giornali o riviste di livello nazionale: trattare di opere scritte o figurate che risalgono al passato, ad autori scomparsi da secoli. In genere si dice di autori e di opere importanti, molto note, delle quali si è scoperto un particolare finora sconosciuto, si è saputa una notizia nuova, è sorto il sospetto che qualcosa non sia stato ancora detto.

   Altre volte si vuole tornare ad un autore, ad un’opera antica, una raccolta di poesie, un romanzo, un quadro, un testo filosofico, un documento, un avvenimento, un personaggio storico, per il solo motivo di ricordare la sua importanza, recuperare il suo valore, rinnovare l’interesse.

   Con un linguaggio nuovo, quello dei nostri giorni, si scrive di cose vecchie. Di queste, però, non tutti sono al corrente poiché non sono entrate a far parte della cultura di massa. Ancora oggi c’è da noi tanta gente che non conosce neanche i più importanti autori od opere o eventi della storia nazionale. Tuttavia i veri motivi del fenomeno stanno nel fatto che in Italia e in altri paesi dell’Occidente europeo in ambito umanistico non ci sono autori dei quali si ritenga opportuno scrivere sui giornali. Scrittori, poeti, pittori, storici, pensatori si sono omologati alla temperie diffusa dai nuovi mezzi di comunicazione di massa. Fanno, cioè, informazione non arte né pensiero, commentano non creano. Da quando, fine Novecento, è finito il tempo delle correnti letterarie e di pensiero, da quando gli autori sono rimasti soli, senza riferimenti, le loro opere sono scadute. Non ci sono dei motivi, dei linguaggi che le distinguano, spesso dicono di situazioni che si assomigliano con una lingua che si ripete. Non mancano, quindi, gli autori, le opere mancano le qualità, i valori di queste. Non ci si sa orientare tra esse, non le si sa valutare anche perché sono di autori che spesso non hanno precedenti specifici e si improvvisano come tali.

   Sembra di assistere ad un ciclo che si è esaurito, ad una storia che è finita: sarà questo il motivo che ha fatto volgere indietro lo sguardo di chi sui giornali scrive di cultura. Si è preferito dire del passato perché più sicuri ci si muove, più chiari si riesce. E poi c’è l’interesse che questa cultura può suscitare presso la suddetta fascia di popolazione che finora è rimasta all’oscuro.

   Anche in televisione sta succedendo questo, molti programmi sono orientati al recupero del passato, intendono far conoscere, istruire. Che i giornali abbiano accettato di svolgere questo compito è un modo per rimediare alla crisi culturale che da tempo ha investito l’Italia ma è pure il segno di un grave problema. Un organo come il giornale sta rinunciando alla sua funzione, al suo compito che è sempre stato quello di seguire il nuovo, di annunciarlo, di essere la sua voce e questo mentre i suoi lettori vanno diminuendo perché attirati da altri mezzi di informazione: in crisi si è ovunque e quello del passato sta sembrando, come altre volte nella storia, un rimedio per tutto.