Cari insegnanti facciamo amare la storia a scuola

da la Repubblica

di Franco Lorenzoni

Migliaia di studenti in piazza chiedono agli adulti di preoccuparsi un po’ più seriamente del futuro. Oltre mille professori e intellettuali firmano un appello perché non si dimentichi il passato. C’è qualche possibilità che queste due spinte a sottrarsi alla dittatura del presente si incontrino? Un’insegnante di Orvieto racconta che un suo allievo un giorno le ha domandato: «Perché dovrei studiare il passato se io vivrò nel futuro?» Sembra una domanda banale, ma se proviamo a prenderla sul serio forse possiamo provare a capire perché, da dieci anni, oltre il 97% dei ragazzi non sceglie la traccia storica all’esame di maturità.

L’abolizione di quella traccia ha valore simbolico e ha suscitato scandalo. Ma se vogliamo cercare strade per provare a rivitalizzare l’incontro tra i ragazzi e la storia, credo non basti chiedere il ritorno di quella prova e sia necessario porci un po’ di questioni riguardo alla formazione di noi insegnanti e al funzionamento di scuole e università. Tranne che per ristrette minoranze colte o fortemente politicizzate date come il 1° maggio, il 25 aprile e il 2 giugno non dicono nulla a bambini e ragazzi.Nellefamiglie regna una pressoché totale afasia riguardo alla storia e il racconto orale di fatti accaduti alle generazioni precedenti si è talmente affievolito da essersi spento, anche perché i genitori sono nati in anni lontani dalle tragedie della guerra, che hanno sempre portato con sé la necessità di essere ricordate e narrate. La Storia con la S maiuscola, venerata dalle organizzazioni di massa e dai movimenti collettivi del secolo scorso, dagli anni Ottanta si è rapidamente trasformata in oggetto polveroso di cui disfarsi. La conseguenza è che genitori vissuti nell’ultimo trentennio non considerino più la narrazione storica come terreno fertile per l’educazione dei figli.

Molti libri di testo che circolano nelle scuole inferiori e superiori illustrano ancora la storia in modo lineare e riduttivo, privilegiando guerre ed espansioni di imperi a una più complessa e articolata storia della cultura, delle culture, che permetta a bambini e ragazzi di comprendere come arte, architettura, lingue, economia e scoperte scientifiche, insieme al trasformarsi delle istituzioni e all’altalenante espansione dei diritti plasmino la condizione umana nei diversi continenti.

Ho avuto la fortuna di essere stato allievo di Emma Castelnuovo alle medie e nel suo insegnamento ogni regola e teorema matematico lei lo collegava alla storia, a chi lo aveva intuito e dimostrato. Con lei ho imparato a 12 anni che le cifre posizionali che rivoluzionarono la nostra relazione con i numeri ci sono arrivate dal Mediterraneo, che è sempre stato luogo di scambi culturali e ha permesso agli arabi di portare fino a noi le scoperte di matematici indiani. Ma perché la storia trovi senso nella scuola si deve nutrire e intrecciare con scienza e arte, letteratura e musica, statistica e demografia, che tanto hanno da dirci sul mondo che è stato e che verrà. Come è possibile, ad esempio, comprendere il ’900 senza conoscere qualche rudimento di storia della fisica e aver inteso la portata della rivoluzione di Kandinsky?

Per far questo, tuttavia, noi insegnanti dovremmo avere tempi e luoghi in cui confrontarci e discutere su ciò che andiamo proponendo ai ragazzi, mentre nell’attuale ordinamento della scuola solo gli insegnanti di scuola primaria dedicano due ore settimanali a una programmazione comune, necessaria a mio avviso in ogni ordine di scuola.

Quale formazione storica abbiamo noi insegnanti? Ho la sensazione che la storia, da tempo avvilita e dimenticata nella società, non ha il respiro che merita neppure nelle università dove ci formiamo noi insegnanti, tanto che ben pochi tra i giovani docenti che arrivano oggi nelle scuole conoscono il ricchissimo dibattito storiografico che si è svolto negli ultimi decenni. La relazione tra microstorie e storia, l’apporto della storia orale, la complessità come paradigma indispensabile per affrontare grandi nodi concettuali raramente alimenta la prima formazione e la formazione in servizio di noi docenti, per non parlare della scarsissima considerazione data alla didattica della storia. Oltre 50 anni fa, a Barbiana, don Lorenzo Milani proponeva ai suoi ragazzi di confrontare ciò che scrivevano il Saitta e lo Smith con ciò che raccontavano della guerra i loro genitori e nonni analfabeti, mandati a combattere in trincea. Oggi che il mondo popola le nostre classi, abbiamo l’opportunità di ascoltare voci con memorie di diversi continenti alle spalle. E allora perché non raccogliere questi frammenti di storia orale confrontandoli con uno studio serio e approfondito di cosa è stato il colonialismo, quali tracce abbia lasciato e quali siano gli esiti delle lunghe e mai terminate lotte anticoloniali? Per compiere queste lunghe e complesse manovre di avvicinamento è tuttavia necessario che noi docenti ci si abitui a lavorare con una ricca documentazione che vada ben oltre a ciò che forniscono i libri di testo e si sia capaci di fornire agli studenti materiali diversi su cui ragionare, discutere, mettere in forse certezze. Il grande nemico della conoscenza e dell’intelligenza sta nella semplificazione, che nella scuola dovremmo cercare di contrastare con ogni mezzo. Lo scorso anno, leggendo e rileggendo in classe le cinque folgoranti righe con cui Erodoto dà avvio alle sue Storie, i bambini sono stati molto colpiti dalla sua scelta di voler dare dignità e memoria sia ai greci che ai barbari e dal suo domandarsi «la ragione per cui essi vennero in guerra tra loro ». Un giorno Emilia a 11 anni ha scoperto su wikipedia che Erodoto era figlio di una greca e di un persiano. Siamo stati così felici di scoprire che la storia è nata dalla curiosità e dall’immaginazione di un uomo che incarnava l’incrocio tra culture proprio come Emilia, che è figlia di un uruguaiano e di una belga. A Erodoto, alla fine dell’anno, Maia ha scritto una lettera: «Secondo me hai fatto una delle invenzioni più utili di tutte: la Storia! Senza la storia come avrebbe fatto Martin Luther King a sapere di Gandhi e della nonviolenza e quindi fare come lui? E noi? Noi come avremmo fatto a sapere di tutti voi? Ipazia, nessuno saprebbe chi era…». Ecco, quando la storia diventa luogo di connessioni inaspettate apre la mente e non può non appassionare ragazze e ragazzi.