Colla (Cgil): «L’alternanza serve, il governo torni indietro sui tagli»

da Il Sole 24 Ore

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Il governo ha tagliato ore e fondi all’alternanza scuola-lavoro dicendo di voler così garantire maggiore qualità dei percorsi. Lei ritiene che la maggiore qualità si raggiunga in questo modo?

È giusto preoccuparsi della qualità dei percorsi di alternanza scuola lavoro, ma la soluzione individuata dal governo è sbagliata – risponde Vincenzo Colla, vice segretario generale della Cgil -. La pesante riduzione delle ore e delle risorse ha dato un messaggio di smobilitazione al mondo della scuola e al mondo del lavoro. La strada per superare le difficoltà incontrate nella prima attuazione è un’altra: costruire nelle scuole, nelle imprese e nei territori le condizioni per garantire a tutti la qualità dei percorsi. Si tratta di formare i docenti, i tutor aziendali e scolastici, sostenere le piccole imprese nella capacità di co-progettazione con le scuole. Di tutto questo non c’è traccia nelle scelte del governo. Ne consegue che anche i percorsi di eccellenza che erano stati intrapresi in tante aree del paese rischiano di fallire di fronte ai continui cambiamenti normativi. Cgil Cisl Uil, da quando l’alternanza scuola lavoro è diventata obbligatoria, hanno proposto ai diversi i governi di costituire una cabina di regia con i soggetti istituzionali e le parti sociali per promuovere e sostenere le azioni necessarie. Continua invece a prevalere la logica della disintermediazione. Al contrario, nei paesi europei dove il rapporto scuola lavora funziona, le organizzazioni sindacali e del mondo del lavoro sono coinvolte nel governo del sistema e sono protagoniste nelle azioni di promozione e qualificazione.

Il mondo delle imprese è allarmato e chiede di ripristinare un numero di ore adeguate di formazione on the job, almeno negli istituti tecnici, e maggiori risorse per non allontanare nuovamente scuola e lavoro, visto che in Italia abbiamo il 30% di disoccupazione giovanile. Condivide questa preoccupazione del mondo produttivo?

Nel Patto per la Fabbrica Cgil Cisl Uil e Confindustria indicano nell’alternanza scuola lavoro una delle leve per una strategia delle competenze che permetta al paese di vincere la sfida dell’innovazione. L’alternanza è uno strumento importante per innovare la scuola e il sistema produttivo. Le imprese che si impegnano nella formazione e nella valorizzazione delle conoscenze e competenze e che imparano a co-progettare con le scuole e le università sono le imprese più innovative e competitive. D’altro canto, le scuole che si aprono alla collaborazione con il territorio e il mondo del lavoro migliorano i livelli di apprendimento di tutti, riducono la dispersione scolastica, formano competenze adatte a fronteggiare i cambiamenti continui e dirompenti del lavoro 4.0 e valorizzano l’intelligenza delle mani e l’etica del lavoro. Per questo il rapporto istruzione-lavoro e la qualità dei suoi percorsi saranno al centro dello sviluppo del patto per la fabbrica. Ne consegue che il vincolo a determinare un pacchetto di ore nell’alternanza scuola lavoro è uno strumento importante su cui bisognerebbe investire di più, diversamente da quello che sta facendo il governo, per diffondere i livelli di qualità raggiunti dalle scuole e dalle imprese migliori. Non è un caso che le migliori esperienze nel campo dei rapporti scuola-lavoro sono nati da accordi sindacali come alla Ducati e all’Enel. Accordi che permettono di garantire etica, educare al senso del giusto e della tecnologia. È inoltre scorretto e fuorviante pensare che l’alternanza scuola lavoro debba essere inserita nei curricula dei soli istituti tecnici e professionali; l’alternanza è strategica anche e soprattutto nei licei anche in un’ottica di un umanesimo tecnologico allo scopo di implementare competenze trasversali utili in ogni progetto di vita di un giovane o di una giovane e di meglio rispondere alla sfida di un apprendimento che dovrà proseguire per tutta la vita.

Già a settembre si annunciano defezioni sia tra imprese sia tra docenti, specie dei licei, come risposta alle nuove regole. Non teme un effetto boomerang su un mismatch tra domanda e offerta di lavoro già elevato nel nostro paese?

La causa principale del mismatch nel nostro paese è la bassa domanda di competenze espressa dal sistema produttivo addirittura inferiore all’offerta in un paese che, per numero dei giovani laureati, è agli ultimi posti fra quelli Ocse. A questo si aggiunge la tradizionale resistenza del mondo della scuola e del lavoro a dialogare che ostacola l’incontro tra domanda e offerta di competenze. Anche per questo il messaggio di smobilitazione prodotto dal governo è sbagliato e preoccupante. Deve essere corretto rilanciando l’obbligo dell’alternanza come diritto di ogni studente ad apprendere conoscenze e competenze utili per il lavoro e la cittadinanza attiva e costruendo le condizioni per la significatività di tutti i percorsi. Il primo passo è ripristinare già dalla prossima legge di bilancio l’intero stanziamento di 100 milioni precedentemente previsto.

Pezzi importanti del sindacato, compresa la vostra categoria, hanno avuto posizioni critiche sull’alternanza assecondando giudizi negativi di una fetta di insegnanti che, storicamente, non vede di buon occhio il dialogo tra scuola e lavoro. Sono posizioni da rivedere alla luce dei primi risultati positivi dell’alternanza obbligatoria?

Le strutture di categoria si sono fatte carico di rappresentare il diffuso malessere espresso dagli insegnanti costituito certo da resistenze e chiusure da superare, ma anche da una più che legittima protesta contro modalità attuative prive di gradualità e del coinvolgimento attivo delle parti sociali. Errori che sono all’origine, tra l’altro, della difficoltà a trovare imprese disponibili e preparate alla co-progettazione dei percorsi di alternanza. Il governo attuale ha scelto la via facile del consenso a buon mercato. Si è innanzi tutto preoccupato di tranquillizzare i settori più conservatori, indebolendo i percorsi e cancellando la stessa parola lavoro – il cui sapere è da sempre misconosciuto dalle scuole e dalle imprese meno innovative – e ha abbandonato a se stessa quella parte del mondo della scuola e del lavoro che invece si è impegnata per migliorare le cose.

Confindustria stima che un terzo delle prossime assunzioni sarà di difficile reperimento per mancanza di competenze adeguate. Ciò accadrà soprattutto per i profili tecnico-professionali. È un danno per il Paese. Quali misure servono per evitare questa penalizzazione che grava sui giovani?
È innanzi tutto necessaria una politica industriale che promuova l’innovazione del sistema produttivo e che innalzi la qualità delle competenze richieste dalle imprese. Il potenziamento dei percorsi che integrano istruzione e lavoro rappresentano una parte essenziale di una nuova politica industriale. I percorsi scolastici non possono inseguire l’incessante cambiamento delle competenze professionali richieste dal mondo del lavoro. Però attraverso l’alternanza scuola lavoro possono migliorare l’orientamento degli studenti e formare soprattutto quelle “soft skills” che sono sempre più considerate essenziali dalle imprese che innovano. Occorre poi un forte investimento nello sviluppo dell’apprendistato duale (tipologia 1 e 3: percorsi per acquisire contemporaneamente una specializzazione professionale e un titolo di studio secondario o terziario) che rappresenta lo strumento più qualificato – ma oggi molto poco utilizzato – per formare professionalità alte e curvate sulle esigenze di sviluppo e innovazione dei diversi sistemi produttivi. Le tecnologie cambieranno le dinamiche economiche e sociali, ma proprio per questo abbiamo bisogno di un governo pubblico ragionato che sia in grado di coniugare umanesimo ed innovazione, fondamentali per la crescita della comunità, dei territori nel mondo globale. Dobbiamo evitare lo spiazzamento delle conoscenze delle competenze che si polarizzano su pochi soggetti che diventano gli ottimati, e il resto a disposizione, senza diritto di senso critico, di autonomia soggettiva, di fantasia innovativa, di competenze digitali. Una cesura sociale che non permetterebbe di fare restare il nostro Paese la seconda Manifattura in Europa.
Creeremo il valore aggiunto solo se sapremo fare diventare di massa, e non di censo, il sapere, la conoscenza per il lavoro e, in questo, il ruolo della Scuola Pubblica di Stato è dirimente. Per evitare che l’economia digitale diventi tritacarne sociale, serve un new deal della conoscenza, della formazione continua.