Italia, Paese dei giovani Neet non lavora né studia il 28,9%

da la Repubblica

Rosaria Amato

In Europa sono uno su sei, in Italia più di uno su quattro: il 28,9 per cento dei giovani tra i 20 e i 34 anni non lavora, non studia, è fuori da qualunque percorso d’inserimento o apprendistato. “Garanzia Giovani”, le politiche attive del lavoro, i click day: niente tra i tentativi degli ultimi anni riesce a scalfire questo primato italiano. Persino la Grecia, che viene da una crisi durissima, ci precede con una percentuale del 26,8. I Neet, come vengono definiti secondo l’acronimo inglese, sono 3 milioni e 78 mila in Italia: tra loro 390 mila hanno la laurea o il master, e quasi un milione e mezzo sono diplomati. Alcuni hanno già dei figli: 728 mila sono madri e circa 100 mila padri.

La media europea di Neet per Paese, secondo Eurostat, è del 16,5%. Ma in Svezia sono l’8%, in Olanda l’8,4%, a Malta il 10,1%, in Portogallo l’11,9%, e dunque la situazione italiana è di gran lunga la peggiore anche se si considera il solo confronto con i Paesi del Sud Europa. Una situazione ancora più grave se si mette a confronto con i dati demografici: i giovani, così maltrattati in Italia, sono sempre meno, l’incidenza, si legge in un recente studio pubblicato da Neodemos, è scesa al 34,1%, contro una media europea del 39% (ma anche un picco del 46% in Irlanda).

I giovani italiani sono stretti nella trappola del non lavoro, delle scarsissime opportunità, che li porta a due scelte: o rimangono in casa con i genitori fino a oltre 30 anni (mentre nel Nord Europa il distacco avviene in media un po’ prima dei 23) oppure fuggono all’estero in cerca di opportunità; questo, insieme al calo delle nascite, spiega l’incidenza sempre più bassa rispetto alla popolazione.

La pubblicazione dei dati Eurostat è l’occasione per l’ennesimo dibattito sull’Italia senza sbocchi per i giovani: la Cgil punta il dito contro «la trappola dei tirocini», che, accusa la segretaria confederale Tania Sacchetti, allungano i periodi di prova e sotto-qualificazione». In effetti da un’indagine appena pubblicata dalla Repubblica degli Stagisti (e riferita solo alle Università milanesi) emerge come la stragrande maggioranza degli stage curriculari venga effettuato a titolo gratuito (a differenza che all’estero, dove viene previsto un vero e proprio stipendio), e non sia previsto alcun tipo di monitoraggio per capire quanti si trasformino in contratti di lavoro.

Il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo definisce il dato Eurostat «un record di cui avremmo fatto volentieri a meno»: «Non c’è più fiducia nel futuro e così il nostro Paese è destinato a una stagnazione perpetua», osserva. Vista la situazione «non c’è da stupirsi per il forte aumento di giovani che vanno a cercare all’estero migliori condizioni », rileva il segretario aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra.

E la soluzione non può certo essere il reddito di cittadinanza, afferma il senatore del Pd Edoardo Patriarca, capogruppo in Commissione Lavoro, definendolo «un intervento di puro assistenzialismo», che «non dà speranza a nessuno, né ai giovani, né ai poveri».