I bambini non giocano

I bambini non giocano

di Maurizio Tiriticco

Tutti sanno che l’essere umano, quando è piccolo, gioca, ma poi, divenuto grande, non gioca più. Ma questa diffusa credenza corrisponde alla realtà? Assolutamente no! Il bambino non gioca! Il bambino cresce e apprende! Anzi, deve crescere e apprendere! Ma crescere significa in primo luogo costruire sé stessi. Ma non “da soli”, bensì in un rapporto costante e continuo con la realtà, la realtà fisica e la realtà relazionale.
Il nuovo nato, appena uscito dal grembo materno, è immerso in un mare di sensazioni, gratificanti o dolorose: è gratificato se “ha mangiato” dal seno materno, se “si è liberato”, se la temperatura ambiente è confortevole. Se alcune di queste condizioni positive mancano, soffre, quindi piange. Attenzione, non si tratta di una sofferenza “adulta”. In realtà, se, in condizioni normali, un adulto ha fame o sete o freddo o caldo o non so quali altri bisogni, non piange, ma adotta le strategie necessarie per “risolvere il problema”. Mangia, beve, si copre o si scopre. Ovviamente, se penso ai nostri soldati della seconda guerra mondiale in ritirata o nelle nevi dell’Unione Sovietica o nelle sabbie dei confini libico/egiziani, le cose – come si suol dire – si complicano.
Anche se, invece, a volte certa retorica sembra risolverle. Nel 1941, in piena seconda guerra mondiale, Alberto Simonetti, Alvaro De Torres e Mario Ruccione scrissero e composero una delle più note nostre canzoni di guerra, “La Sagra di Giarabub”. Giarabub era un’oasi al confine italo-egiziano in cui i nostri soldati resistettero con ardimento e sacrificio. Ecco il testo: “Colonnello, non voglio il pane, dammi il piombo del mio moschetto! C’è la terra del mio sacchetto che per oggi mi basterà. Colonnello, non voglio l’acqua, dammi il fuoco distruggitore! Con il sangue di questo cuore La mia sete si spegnerà. Colonnello, non voglio il cambio, qui nessuno ritorna indietro! Non si cede neppure un metro, se la morte non passerà”. Comunque, la canzoni di guerra sono una cosa, sempre festose e incoraggianti, ma le guerre, purtroppo non si affrontano e non si vincono con le canzoni.
Comunque, il faticoso e a volte sofferente sviluppo/crescita del nostro nuovo nato è sempre contrassegnato dal pianto. Quante volte i poveri genitori non riescono a dormire la notte, perché il bambino piange? O perché ha un leggero di mal di pancia od ha un braccio od una gamba “nessi male” o non so cos’altro! Fastidi che per l’adulto sono sopportabili e risolvibili, per il neonato, spesso, non lo sono affatto. Comunque, non voglio pensare all’adulto che, nel pieno di una avvincente e interessante conversazione, viene assalito da una “botta di diarrea”!
Ma torniamo al nuovo nato. In seguito, con lo sviluppo/crescita e con l’apprendimento, il mare delle sensazioni si affina. Appena nato, avverte solo soddisfazione o sofferenza (fame, sete, caldo, freddo, bisogni fisiologici). Non vede e non ascolta. O meglio, la vista e l’udito “nascono” e si sviluppano nella misura in cui colori e suoni sollecitano la capacità visiva e quella auditiva: si tratta di capacità, di possibilità che, con l’interazione continua con l’ambiente esterno, diventano abilità. Ma poi, con lo scorrere del tempo, il nuovo nato comincia a distinguere chi gli fa una carezza e chi gli dà un pizzicotto. Così, solo dopo un tempo relativamente lungo la sensazione pressoché indiscriminata si distingue in percezione soggettiva e consapevole di uno stimolo esterno.
Insomma, il bambino, nel suo sviluppo/crescita, deve apprendere con che cosa si deve misurare e come si deve comportare a fronte degli incessanti stimoli esterni. Va sottolineato che il bambino, appena nato, ha a che fare – se si può dire così – con se stesso. E deve imparare a rispondere agli stimoli, la fame, il sonno, i bisogni fisiologici. Impara presto che è la madre – nelle situazioni sociocollaborative normali – che può rispondere ai suoi bisogni, quelli primari e poi quelli secondari. E’ un bisogno secondario, ad esempio, quello di sapersi confrontare e misurare con gli “altri da sé”, o meglio i suoi coetanei. E le maestre della scuola dell’infanzia sono maestre, appunto, nel cogliere, decodificare, orientare, educare anche, questi bisogni di carattere relazionale indotti dai rapporti con gli altri bambini. In realtà, la maestra ha a che fare con situazioni interpersonali a cui in genere i genitori non sono abituati. Un conto è avere a che fare con più figli, tra loro fratelli e di età differenti; altro conto è avere a che fare con bambini che hanno la stessa età e che si devono confrontare e rapportare con coetanei in situazioni di gruppo.
A questo punto è opportuno ricordare Piaget e le sue quattro fasi dello sviluppo dell’intelligenza e della interazione interpersonale:
Fase senso-motoria (0/3 anni): continuità e contiguità tra il soggetto e gli oggetti; non vi sono cause, non c’è futuro, ma un eterno presente; si attivano curiosità e interessi: tutto va toccato, afferrato, smontato…
Fase intuitiva (3/7 anni): matura il pensiero egocentrico; il bambino proietta se stesso negli oggetti e si sente al “centro del mondo”; è la fase dell’egocentrismo in cui il bambino “cade” in una serie di errori sotto il profilo dei rapporti logici; è il mondo dei miti, della fiaba e della favola;
Fase operatorio-concreta (7/11 anni): il pensiero del bambino interagisce con gli oggetti, supera l’egocentrismo e con il linguaggio riconosce regole e rapporti logico-formali tra gli oggetti;
Fase ipotetico-deduttiva (11/14 anni): il soggetto si fa “adulto”, individua e fissa il valore del simbolo e dell’astrazione, definisce i rapporti formali che regolano l’attività del pensiero; elabora ipotesi e sa procedere anche per via deduttiva.
Potremmo anche sottolineare la grande fatica che deve fare il bambino quando passa da uno stadio che potremmo definire analogico (le prime due fasi piagetiane) a quello che potremmo definire digitale (le altre due fasi piagetiane).
Sono le fasi classiche del pensiero piagetiano che si succedono epigeneticamente e che potremmo rileggere… e riscrivere alla luce di quanto fin qui detto sullo sviluppo complessivo del bambino, che impegna e coinvolge:
a) in primo luogo la corporeità,
b) poi l’intelligenza emotiva (rubiamo il concetto a Daniel Goleman) ed ancora,
c) l’intelligenza strettamente cognitiva (la matematizzazione, il linguaggio delle interazioni interpersonali), e infine
d) l’intelligenza socio collaborativa. Si tratta di quattro modalità qui rappresentate in successione, ma che in effetti nell’apprendimento/sviluppo si integrano e si arricchiscono vicendevolmente.
Ed ancora: le prime due fasi contribuiscono alla costruzione e alla definizione dell’identità personale, dell’autonomia (io sono Io); le altre contribuiscono alla costruzione della responsabilità sociale (io, in quanto sono io, penso e faccio questo e non altro…).
Quindi: a) l’identità personale in quanto essere: il corpo, la personalità, il carattere, le emozioni, l’insieme degli atteggiamenti personali; b) la responsabilità sociale, in quanto fare: le conoscenze, le abilità, i comportamenti, le competenze, la professionalità al fine del vivere e cooperare insieme.
Sono ricorso a richiami dottrinari assolutamente necessari per rendersi conto che lo sviluppo/crescita di un bambino non è affatto una fenomenologia semplice. Ed è solo in uno scenario di questo tipo che possiamo comprendere come i bambini non giochino affatto! Noi adulti lo crediamo, perché noi adulti abbiamo imparato a distinguere il lavoro dal riposo, i giorni feriali dai giorni festivi, ad attendere le agognate ferie dopo un anno di lavoro.
Il bambino che si sviluppa e cresce, si misura con gli altri per costruire se stesso. In realtà non sappiamo in quale misura il carattere, la personalità di un nuovo nato siano ereditari. Ma sappiamo senz’altro che gli stimoli parentali, umani, ambientai in genere costituiscono un insieme importante di condizionamenti, positivi e negativi.
In conclusione, quello che noi chiamiamo gioco, per il bambino è l’insieme dei molteplici tempi della partita che è chiamato a giocare per costruire se stesso, il suo corpo, la sua corporeità, la sua intelligenza, le sue modalità di emozionarsi e di interagire con gli altri, con le cose, con gli avvenimenti!
Ben arrivato, nuovo nato! Augurissimi!