Sui risultati della lingua straniera pesano formazione e didattica

da Il Sole 24 Ore

di Laura Virli

La padronanza nell’utilizzo dell’Inglese, la lingua franca della cultura, del lavoro globalizzato e di internet, è sempre più importante. Chi non la possiede rischia di essere tagliato fuori da moltissime opportunità. Per tale motivo, dal 2018, e per la prima volta nel 2019 anche in quinta superiore, le prove Invalsi misurano le competenze acquisite anche in questa materia, in tutti i cicli di studio.

E cosa emerge nel rapporto 2019 appena pubblicato dall’Invalsi? Lanciato l’allarme rosso.
In tutte le parti d’Italia il livello di Inglese è preoccupante.
Quali le cause? Chiaramente sono molteplici i fattori determinanti.
Secondo l’Invalsi emergono le seguenti considerazioni generali: innanzitutto, le competenze nella lingua Inglese degli studenti si discostano sempre di più dagli standard di riferimento nel corso dell’itinerario scolastico, in misura maggiore nella comprensione della lingua parlata rispetto alla comprensione della lingua scritta, il che sembrerebbe denotare una carenza nell’insegnamento, le ragioni della quale andrebbero meglio approfondite.
In effetti, appare chiaro che uno dei punti deboli è proprio la preparazione degli insegnanti della scuola primaria, dove l’Inglese viene insegnato da maestre di matematica o di italiano, “costrette” anni fa, quando fu introdotto lo studio della lingua comunitaria, a frequentare un corso abilitante di poche ore on line (ridotto nel numero di ore per mancanza di fondi). Il risultato è che, tranne rari casi, le stesse maestre hanno scarsa competenza in lingua. Le lingue straniere, cosi come l’attività motoria, non possono essere insegnate da docenti di altre materie che hanno seguito dei banali corsi.
Purtroppo nella scuola primaria, i bambini imparano al massimo qualche canzoncina in inglese e alle medie studiano solo la grammatica, e, quasi mai si esercitano conversando in lingua inglese; cosicché i ragazzi non ne comprendono l’utilità, si disamorano o si lasciano intimorire. Poi c’è un problema di didattica. Spesso la lingua inglese viene insegnata utilizzando metodologie poco efficaci. Il problema però esiste, ed è più serio, alle scuole medie. Eppure le Indicazioni nazionali per il curricolo sono ben scritte, ma spesso ignorate. Non c’è possibilità di crescita se la didattica è meramente trasmissiva e con metodiche che non approfittano dei numerosissimi strumenti digitali che oggi si possono reperire in “rete”, spesso “open source”.
Inoltre, è indubbia la diversità totale della lingua inglese, come grammatica e sintassi, rispetto all’italiano. Ma anche l’esiguo numero di ore di lingua inglese a settimana in tutti i cicli di studio, e, non ultima, la scarsa motivazione di tanti studenti sono fattori da considerare. A volte, anche nelle sezioni di alcuni licei che introducono il percorso “Cambridge”, i docenti devono combattere con la mancanza di motivazione di tanti studenti.
C’è anche da considerare come nei licei, dopo un biennio dove si acquisiscono le competenze base, al triennio si insegna letteratura inglese, si amplia il livello culturale degli studenti, lasciando indietro il potenziamento di alcune abilità linguistiche importanti per il rafforzamento della capacità di ascolto e di conversazione. Pertanto, risulta evidente che gli obiettivi testati dall’Invalsi si dissociano totalmente dalle indicazioni ministeriali. Gli studenti vengono preparati in letteratura utilizzando tre ore a settimana, ma poi le prove sono basate su tutt’altre abilità. Di contro, all’esame di Stato, fino allo scorso anno, l’Inglese era obbligatoriamente nella terza prova con domande di letteratura, e anche nel colloquio, appena riformato, si chiede agli studenti di effettuare i collegamenti interdisciplinari attraverso la letteratura inglese.
Ed è assolutamente necessario riformare i corsi nelle università. I docenti che insegnano nella scuola secondaria di primo e secondo grado sono più laureati in letteratura che in lingua. Fino a pochi anni fa, anche nelle università più prestigiose, gli esami orali si facevano in italiano e i docenti facevano lezione in italiano. I docenti di lingua inglese sono pertanto, in generale, poco preparati nell’insegnamento della lingua inglese perché all’università si insite moltissimo sulla letteratura, un po’ come al liceo.
Finché in Italia si penserà a risparmiare sulla formazione, a diminuire le ore di docenza, a mantenere un disallineamento tra contenuti insegnati e abilità da valutare, rileveremo sempre questa schizofrenia formativa e gli esiti dell’Inglese non miglioreranno.
E, sicuramente, è necessario ripartire con la formazione a tappeto di docenti nella metodologia Clil (Content and language integrated learning) che permette a un docente, ad esempio, di fisica, di insegnare la sua disciplina in lingua inglese. Ancora troppo pochi i docenti certificati per il Clil. Scientificamente provato che tale metodologia, oltre a rafforzare la competenza linguistica, favorisce l’apprendimento di qualunque materia non linguistica.