No a condizioni (discriminatorie) per ottenere un sussidio legato all’istruzione

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da Il Sole 24 Ore

di Marina Castellaneta

L’obiettivo di incrementare il numero di residenti titolari di un diploma di istruzione superiore è legittimo ma gli Stati membri non possono imporre condizioni che partano a discriminazioni indirette. Di conseguenza, l’erogazione di sussidi economici per gli studi superiori a studenti non residenti subordinata alla circostanza che il genitore abbia lavorato nel Paese per un periodo minimo di cinque anni calcolati unicamente per i sette anni precedenti è incompatibile con il diritto Ue.

La sentenza Ue
Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-410/18 depositata qualche giorno fa. Il rinvio pregiudiziale agli eurogiudici è stato sollevato dal tribunale amministrativo lussemburghese su ricorso di un cittadino francese che lavorava in Lussemburgo. Il figlio aveva chiesto un sussidio per studiare in Francia ma l’istanza era stata respinta. Per la Corte Ue la limitazione di vantaggi sociali ai lavoratori transfrontalieri può in taluni casi essere giustificata. Giusto, quindi, chiedere un collegamento il mercato del lavoro dello Stato al quale si richiede il sussidio, in particolare quanto le autorità nazionali perseguono l’obiettivo di far aumentare in modo significativo la quota dei residenti titolari con un diploma di istruzione superiore è legittimo. In questo caso, infatti, esiste una «ragionevole probabilità di vedere lo studente fare ritorno nello Stato membro che dispensa l’aiuto dopo aver concluso li studi», ma le condizioni previste non devono andare al di là di quanto necessario. Pertanto, la condizione di un periodo minimo di cinque anni legata ai sette anni precedenti alla presentazione dell’istanza, dando rilievo a un aspetto formale ma senza esaminare altri collegamenti, è incompatibile con l’articolo 45 del Trattato che assicura la libera circolazione dei lavoratori e con l’articolo 7 del regolamento n. 492/011.