La scuola è la vera emergenza nazionale

da Il Messaggero

Marina Valensise

Marina Valensise
Prima gli italiani? Se davvero questo è il programma del governo sovranista, sarebbe urgente aggiungere, e a lettere cubitali, prima la scuola. La situazione, senza esagerare, sembra drammatica. Anche quest’anno mancano all’appello varie decine di migliaia di docenti. Il ministero ha annunciato l’assunzione di circa 60 mila insegnanti di ruolo, fra i quali 15 mila di sostegno, ma stenta a trovarli.
Nelle graduatorie alle quali si attinge almeno la metà dei docenti di ruolo sono infatti in via di esaurimento, mentre le graduatorie di istituto, che riguardano i precari, con alle spalle almeno tre anni di supplenza nelle scuole statale, restano bloccate. Un risultato che non può non preoccupare Marco Bussetti, da più di un anno ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Già l’anno scorso restò scoperta una cattedra su due: a fronte delle 57 mila assunzioni annunciate, solo il 43 per cento dei docenti venne stabilizzato, causa mancanza di aspiranti. Quest’anno però sarà anche peggio, visto che mancheranno altri 80 mila posti in seguito alle richieste di pensionamento anticipato per Quota Cento. Certo, il ministero ha previsto una serie di concorsi straordinari e ordinari, ma è difficile che vengano banditi entro l’inizio dell’anno scolastico.
E così di anno in anno si perpetua il disastro della scuola italiana.
In mancanza di docenti, e di docenti qualificati e di ruolo, è impensabile che i discenti si formino dal nulla o per partenogenesi. Non per niente, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione lancia un allarme davvero inquietante: un terzo degli studenti di terza media è in seria sofferenza di fronte alla comprensione di un testo scritto in lingua italiana. Al Sud, poi, la percentuale precipita. In Calabria sono sei su dieci gli studenti in difficoltà.
E non parliamo della conoscenza della lingua inglese: a questo proposito, secondo l’ultimo test Invalsi, il 50 per cento degli studenti di quinta superiore non è in grado di leggerlo, mentre il 65 per cento non raggiunge il livello B1. Quanto alla matematica, stendiamo un velo pietoso: «In alcune aree l’impreparazione è tale che è come se un terzo degli studenti non avesse frequentato le scuole superiori», ammette il direttore Invalsi Roberto Ricci.
Ora è chiaro che l’emergenza educativa riguarda un doppio fronte. Un Paese che non riesce a garantire il numero necessario degli insegnati da immettere in ruolo non è in condizione di assicurare una selezione plausibile del corpo docente nella scuola. Questa disfunzione che da decenni affligge la scuola italiana ha come effetto solo l’ignoranza e la miseria dei discenti, ma lo stato comatoso in cui versano i giovani italiani, e il divario distruttivo che cresce tra i ricchi e fortunati del Nord e i poveri imbelli del Sud, abbandonati a se stessi o peggio.
Ci lamentiamo tanto che i ragazzi non si informino, che non leggano né libri né giornali? Il fatto grave è che non siano in condizione di partecipare in modo maturo al processo di formazione del consenso, o del dissenso. E ancora più grave che la nostra scuola pubblica italiana produca da decenni cittadini condannati alla serie b, c, d, addirittura per motivi anagrafici, a seconda della lotteria del luogo in cui vengono al mondo, e ancora peggio destinati all’illusione di potersi riscattare attraverso l’agorà virtuale dei social, unica possibilità a costo zero di prendere parte alla vita della nazione.
La verità è che da almeno settant’anni la scuola ha perso in Italia la preminenza che le spetta in una vera democrazia moderna, fondata sui principi universali di libertà e eguaglianza. L’argomento rivoluzionario dovrebbe essere noto: vista la diseguaglianza dei beni distribuiti in natura, urge correggerla con la cultura, e cioè con l’istruzione e con la scuola, premiando il merito e favorendo il genio naturale che magari nasce in condizioni socialmente svantaggiate. È questa la funzione rivoluzionaria della scuola e di un sistema democratico di istruzione pubblica, che mira a creare cittadini responsabili e dunque una nazione responsabile del proprio destino.
Averlo dimenticato, prima con la demagogia della contestazione, poi con l’ideologia parasindacale dei decreti delegati e infine con l’illusione dell’inutilità della cultura e della conoscenza, vista la crisi dell’autorità, la morte della tradizione e il trionfo conclamato dell’ignoranza è un danno irreversibile per tutti. E lo tocchiamo ogni giorno con mano, ahimè. Urge dunque tornare ai fondamentali e lanciare un piano credibile per affrontare in modo radicale l’emergenza scolastica. Come? Valorizzando innanzitutto i docenti, questi eroi civili che spesso lavorano nell’ombra, e lottano a mani nude contro il disastro. Stimolando i discenti ad apprendere un metodo, prima che delle nozioni, attraverso un sistema premiale e un processo di emulazione continua. E rinunciando, infine, a quella che è la vera piaga, la piaga mentale di molti italiani, e cioè il disfattismo che va a braccetto dell’ignoranza perché è convinto di sfangarla, comunque e sempre, mentre non fa che generare una nazione che non corre. Non ce lo meritiamo