Allarme scuole materne, crollano gli iscritti Oltre 90 mila bambini under4 non la frequentano

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da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Diminuiscono i bambini italiani iscritti alla scuola dell’infanzia: -4,5% in nove anni. Eppure, una buona istruzione pre-primaria migliora l’intero sistema scolastico ed ha effetti positivi anche sulla crescita economica del Paese. Tanto che l’Unicef ha chiesto ai governi di dedicare all’istruzione prescolare almeno il 10% dei loro bilanci scolastici nazionali e ha stabilito l’obiettivo che almeno un anno di scuola dell’infanzia sia universale. In Italia la scuola materna sembra entrata in crisi. Più di 90 mila bambini di 4-5 anni non la frequenta, come rivela il rapporto Bes (benessere equo e sostenibile) dell’Istat riferendosi al periodo tra il 2008 e il 2017. Anzi. In nove anni sono diminuiti gli iscritti alla scuola dell’infanzia, passando dal 95,6% dei bambini di 4-5- anni al 91,1%. Tanto che l’Italia è vicina alla soglia del 90% di copertura minima, fissato dall’Unione europea a Barcellona nel 2002. Obiettivo superato da Belgio (98,6%), Svezia (96,6%), Danimarca (95,9%), ma anche Spagna (95,2%), Francia (93,9%) e Germania (91,8%). Un recente approfondimento di Openpolis e Con i Bambini illustra, dati alla mano, l’importanza strategica dell’investimento nell’istruzione pre-primaria. Non solo aver frequentato la scuola dell’infanzia produce risultati positivi sugli apprendimenti successivi, contribuendo anche a ridurre le diseguaglianze, quindi, contrastando la povertà educativa.

Andare alla materna, infatti, significa arrivare alla primaria con un vocabolario più ampio, più abilità matematiche ed attitudine alle relazioni sociali. Ma anche ridurre bocciature, ritardi, abbandoni precoci. Ed ha effetti positivi sulla crescita del Paese, perché aiuta a sviluppare competenze che serviranno nel mercato del lavoro, riduce lo svantaggio educativo dei ragazzi delle famiglie povere e rende più concreta la possibilità dei genitori di lavorare, con conseguenze positive sul reddito familiare.

Colpisce, allora, che in Italia il 91% degli studenti 15enni che hanno frequentato l’educazione pre-primaria per almeno due anni abbia un background socio-economico svantaggiato rispetto al 92% che lo ha avvantaggiato. Un gap, ma piccolo. Soprattutto se confrontato con quello di altri Paesi europei. Come la Germania: 87% contro il 94%. La Francia: 89% rispetto 97%. La Svezia. 83% contro 93%. La Spagna: 88% contro 96%. Il Regno Unito: 63% rispetto a 70%. La situazione cambia se si analizza la spesa annuale per bambino nella scuola dell’infanzia nei Paesi Ocse. Primo posto assoluto al Lussemburgo con 19.233 dollari all’anno, seguito da Svezia con 12.833 dollari e Germania con 9.167 dollari. Sopra la media Osce di 8.070 dollari annui anche Austria, Regno Unito, Paesi Bassi. Leggermente sotto Belgio con 7.576 dollari e Francia con 7.507. L’Italia si ferma a 6.233 dollari anni. Spese che rappresentano parte del prodotto interno lordo (pil) di ciascun Paese. Si tratta, nel 2013, dell’1,4% del pil per la Svezia, seguita dalla Finlandia con 0.9%.La Francia con lo 0.70% è leggermente sopra la media Osce dello 0,60% del pil. Percentuale su cui si assestano Francia, Spagna, Germania, Portogallo, Lussemburgo.

L’Italia è sotto la media Osce con lo 0.40% del pil per la scuola pre-primaria. Tra i maggiore Pesi europei il Regno Unito è quello dove l’istruzione pre-primaria è più finanziata dal settore privato: un 1/3. All’estremo opposto Francia e Italia, dove la spesa pubblica supera il 90% del totale (rispettivamente 925 e 93%), nettamente sopra la media Ocse dell’83%.