Misurare, valutare e certificare nella scuola dell’autonomia

Misurare, valutare e certificare nella scuola dell’autonomia

di Maurizio Tiriticco

Nei principali documenti normativi relativi alla valutazione degli alunni – si vedano, ad esempio, il decreto legge 137/2008, la legge 169/2008 e il dpr 122/2009 – si esprimono e si scrivono concetti molto interessanti a proposito della valutazione degli alunni. Copio fedelmente passim dal citato dpr: “La valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva… La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni… Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano dell’offerta formativa… Il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento…”. E si ribadisce, ormai da sempre, fin dai tempi dall’Unità nazionale. che la valutazione è espressa in decimi! E per numeri interi! Purtroppo quasi tutti i nostri insegnanti – e gli stessi dirigenti – non lo sanno, per cui… mai un insegnante attribuirà uno o dieci ad un compito o ad una prestazione, ma abbonderà in più, in meno, financo in meno meno, ed anche in mezzi! I tre quarti non sono gettonati! Menomale!

Mi chiedo spesso: possibile che dieci posizioni non siano sufficienti per valutare una prestazione? Nella vita quotidiana esprimiamo espressioni del tipo sì o no rispetto ad un qualsiasi oggetto o fatto. Un film piace o non piace. Una bistecca è buona o cattiva. Le vacanze sono state un disastro, oppure stupende. Sono frequenti anche i “così così”. E allora, non sarebbero sufficienti tre posizioni? No, così così, sì? Nelle scale valutative di molte scuole straniere la scala valutativa è quella quinaria, Ed ovviamente senza valori intermedi. Insomma pare che solo i nostri insegnanti siano afflitti da una vera e propria sindrome valutativa, la valutite! Una malattia che in effetti riguarda una incertezza valutativa di fondo, che sembra caratterizzare da sempre il nostro sistema di istruzione, forse a partire dalla lontana Legge Casati! E ciò nonostante le frequenti chilometriche ordinanze sulla valutazione! Le quali purtroppo, invece di dare certezze, costituiscono, invece, ulteriori motivi di apprensione.

Parole e parole appesantiscono i documenti ministeriali sulla valutazione, ma… mai una parola sulla misurazione! Misurazione? Ma che cos’è la misurazione? Penso di averlo detto e scritto mille volte, anche avvalendomi degli esempi più banali! Eccone alcuni. Vedo in vetrina una bella camicia o un bel paio di scarpe: vorrei acquistarle, ma… manca il mio “numero”!!! Quell’automobile è stupenda, non costa neanche molto, ma è piccola per la mia famiglia numerosa! Al supermercato si verificano le medesime situazioni: ottime arance di Sicilia, ma costano troppo! Per non dire poi della stagione dei saldi! Cappotti acquistati in piena primavera scontati del 50%! Insomma, preventivamente MISURIAMO tutto ciò che concerne un prodotto, soprattutto il rapporto qualità/prezzo! E VALUTIAMO anche quanto possiamo spendere in ordine al nostro bisogno e al nostro potere di acquisto! E lo valutiamo anche in ordine alla sua qualità, a volte anche debitamente certificata. In effetti, si tratta di operazioni oggettivamente distinte, ma che nel nostro pensare quotidiano sono sempre, se così di può dire, agglutinate.

Nella scuola si verificano quotidianamente analoghe situazioni! Quante volte un insegnante dice a un alunno: “Possibile che non ci sia neanche un errore in questo compito in classe? Dimmi: da dove l’hai copiato?”. Oppure: “Mi aspettavo un compito migliore da te! Come mai tanti errori?” E così via! Si tratta di due semplici espressioni, che in effetti tradiscono due precisi atteggiamenti: quello del contare, MISURARE gli errori attesi o disattesi, e quello del VALUTARE il compito e lo studente che l’ha eseguito. La MISURAZIONE, quindi, riguarda l’esito numerico – possiamo dire – del compito eseguito (in genere, gli “errori commessi”, qualunque sia il tipo di prova, orale, scritta, pratica); la VALUTAZIONE riguarda il valore, appunto, che gli viene attribuito. Altro esempio, banalissimo, ma sempre ricorrente alla fine di ogni anno scolastico: l’alunno Rossi ha buoni voti e una buona media, ma un cinque in una singola materia; il consiglio di classe discute se attribuirgli un debito oppure soprassedere; si opta per la seconda tesi e, nel momento in cui il cinque “passa a sei” – in genere si dice e si verbalizza così – si è passati letteralmente e concettualmente da un’operazione MISURATIVA (il fatto che l’esito oggettivo è cinque) ad un’operazione VALUTATIVA (il fatto dell’attribuzione concordata del sei).

Quindi MISURARE e VALUTARE sono due operazioni assolutamente diverse, ma… il fatto è che, sia nella norma che nelle consuetudini degli insegnanti, le due operazioni spesso non vengono chiaramente identificate e distinte. Pertanto, va ribadito che “portare un cinque a un sei” – come in genere si dice, e non solo in sede di consiglio, ma anche nella quotidianità del lavoro di un insegnante – non è un “regalo”, ma l’esito di due operazioni mentali assolutamente diverse: la prima come esito di una misurazione oggettiva (l’esito della prova o di una serie di prove); la seconda come esito di una operazione valutativa (le operazioni “altre” che l’insegnante o il consiglio di classe fanno in considerazione di fattori “altri”, non inerenti al compito). Le considerazioni sin qui condotte circa la distinzione concettuale che occorre sempre fare tra il MISURARE e il VALUTARE sono note al docimologo, ma non sono sufficientemente note al Miur quando legifera e non sempre agli insegnanti quando operano.

Altra considerazione riguarda i voti e la loro “media”, a cui ci richiama fermamente la norma. Ma, che senso ha la media a fronte di queste due sequenze di voti, 4, 5, 6, 7, 8 e 8, 7, 6, 5, 4? Ambedue le sequenze danno la media di 6, ma… mentre la prima sequenza dà conto di un alunno che – come si suol dire – “studia” e “migliora”, la seconda dà conto di un alunno che “non studia” e “peggiora”! E perché, allora, non considerare anche i valori che seguono? La mediana, la moda, il gamma, il sigma, il punto Z e il punto T? Valori che in realtà sono tutti previste dalla matematica! Però, di fatto, le operazioni misurative e valutative compiute dagli inseganti e indicate dalla stessa amministrazione non vanno oltre la media e il cosiddetto buonsenso! Per cui hanno sempre un qualcosa di casereccio.

Va anche ricordato che la norma dice esplicitamente che all’inizio di ogni anno scolastico le istituzioni scolastiche “individuano le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale” (dpr 275/99, art. 4, c. 2, punto 4). Il che significa che, tenuti fermi gli esiti delle operazioni misurative, sempre oggettive e indiscutibili, le operazioni valutative, soggettive, possono variare da scuola a scuola e di anno in anno! Eppure, penso che si possano contare sulla punta delle dita i collegi che all’inizio di ogni anno scolastico deliberano in materia di valutazione. Anche perché valutare in sede di istruzione obbligatoria è un conto; altro conto è valutare in sede di istruzione successiva, scelta dall’alunno! Pertanto, in assenza di una delibera collegiale, l’esercizio valutativo è eseguito da ciascun insegnante secondo il suo “buon senso”. Ma spesso il “buon senso” dell’uno non coincide con il “buon senso” dell’altro. Il che a volte comporta che in sede di scrutini, soprattutto finali, contino di più le considerazioni personali di ciascuno, pur debitamente motivate, che non le indicazioni di una delibera collegialmente adottata.

Tutte le considerazioni fin qui condotte sulla distinzione da fare tra il MISURARE e il VALUTARE assumono poi una particolare valenza quando, al termine di un periodo più o meno lungo di “interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana…” (dpr 275/99, art. 1, c. 2), occorre certificare le COMPETENZE raggiunte e acquisite dal soggetto in apprendimento. Pertanto, un conto sono gli apprendimenti via via acquisiti da un soggetto, debitamente misurati e valutati, altro conto sono le COMPETENZE da certificare, come esito complesso di CONOSCENZE via via acquisite e relative ABILITA’ maturate.

Si moltiplicano le parole, ma anche i concetti che vi sottendono. Si veda la seguente tabella: vi sono indicati i legami che corrono tra dati oggetti e date operazioni. Alcuni banalissimi esempi. Se un soggetto CONOSCE le operazioni aritmetiche, è ABILE nell’acquisto di un quotidiano. Ma per essere COMPETENTE nella progettazione di un edificio, sono necessarie altre conoscenze ed altre abilità. Ciascuno di noi è ABILE nell’uso della forchetta e del coltello, ovviamente dopo averlo CONOSCIUTO e appreso! E con tanta fatica!  Se un soggetto CONOSCE come funzionano i tasti di un pianoforte e sa leggere le note di uno spartito, è ABILE nel suonare. Ma un pianista di fama internazionale è COMPETENTE nella misura in cui il mix delle sue conoscenze/abilità acquistano un particolare rilievo.

Insomma, un discorso approfondito su queste questioni richiederebbe tempi e spazi lunghi. La tabella che segue è, comunque, indicativa del rapporto che corre tra le operazioni che abbiamo indicato ed il coinvolgimento dell’attore, cioè di chi opera.

ISTRUIRE l’alunno FORMARE la persona EDUCARE il cittadino
CONOSCENZE mono- ed interdisciplinari ABILITA’ singole COMPETENZE più abilità interagenti
MISURARE le conoscenze VALUTARE la persona CERTIFICARE le competenze

Si tenga conto che i primi tre verbi sono chiaramente indicati come sostantivi dal comma due del dpr/275/99, istitutivo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Che così recita: “ L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Giunti a questo punto, il discorso, rispetto alle concrete azioni da compiere, è abbastanza complesso. In effetti, MISURARE è relativamente facile: basta contare gli errori. Ma occorre anche considerare che un conto sono tre errori commessi in tre righe; altro conto tre errori commessi in un compito di dieci pagine! Il VALUTARE implica alcune difficoltà, ma il CERTIFICARE ci porta su un terreno assolutamente nuovo per la nostra scuola, per cui la confusione è tanta. In effetti, quando, ad esempio, andiamo a leggere i “nuovi modelli nazionali di certificazione delle competenze nelle scuole del primo ciclo di istruzione”, di cui alla Cm n. 3 del 13 febbraio 2015, le perplessità sono maggiori delle certezze! Anche perché poi dobbiamo anche – come si suol dire – “fare i conti” con l’Europa! O meglio, con quelle otto competenze chiave necessarie ad un apprendimento permanente che il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato con l’ultima Raccomandazione del 22 maggio 2018.

Competenze che è opportuno trascrivere: 1) competenza alfabetica funzionale; 2) competenza multilinguistica; 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4) competenza digitale; 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare; 6) competenza in materia di cittadinanza; 7) competenza imprenditoriale; 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

Ne consegue infine che incrociare obiettivi e finalità della nostra scuola, o di ciascuna scuola nazionale dei 26 Paesi dell’Unione Europea, con le otto competenze chiave europee, implica atteggiamenti e comportamenti particolari da parte dell’operatore scolastico, dirigente o insegnante, nella quotidiana azione didattica.

Ma è una sfida alla quale non ci possiamo sottrarre e che dobbiamo vincere! Ne va del destino non solo dei nostri giovani, ma dell’intero continente europeo! Costretto a misurarsi con potenze quali gli Stati Uniti, la Russia, la Cina! Potenze continentali! A fronte delle quali la grande e vecchia Europa, costruttrice di una grande civiltà, ha ancora molto da dire e da fare!