Cancellato tutto il capitolo scuola I governatori: «Così è scontro»

da Il Sole 24 Ore

di Gianni Trovati e Claudio Tucci

È bastata un’oretta alla riunione lampo di ieri a palazzo Chigi sull’autonomia differenziata per svuotare quasi del tutto il capitolo istruzione, su cui la scorsa settimana si era accesa l’ennesima battaglia nella maggioranza. I Cinque Stelle rivendicano lo stop alle “assunzioni dirette” degli insegnanti da parte delle singole regioni, anche se l’ipotesi di ruoli “locali” aveva già abbandonato la scena dieci giorni fa (si veda Sole24Ore del 12 luglio).

A cadere ieri è stata la possibilità per le regioni che lo chiedono, cioè Lombardia e Veneto, di finanziare con risorse proprie le voci integrative dello stipendio. Resta invece la possibilità, d’intesa fra le regioni e il ministero dell’Istruzione, di aumentare fino a sette anni (oggi sono cinque per i nuovi assunti, in virtù del restyling voluto, con la scorsa manovra, da Marco Bussetti) il periodo di permanenza obbligatoria dei docenti nella sede di prima assegnazione/titolarità. Ma senza più poter offrire, in cambio, qualche euro in più in busta paga. Stessi “paletti” per il personale: i concorsi continueranno a essere banditi dal Miur anche se saranno svolti su base regionale (a proposito, sempre ieri, in Gazzetta Ufficiale è stata pubblicato il Dpr per l’assunzione di 16.959 docenti a infanzia e primaria, di cui 10.624 per l’anno 2020/2021 e 6.335 per il 2021/2022). Anche il “curriculo”, vale a dire ciò che si farà a scuola, rimane di competenza nazionale, fatte salve le quote di autonomia scolastica (che, per la verità, già esistono da una ventina di anni). Le regioni, fermo restando il monte ore obbligatorio previsto dagli attuali ordinamenti, avranno invece qualche spazio in più, per esempio, nel rafforzare i percorsi di alternanza scuola-lavoro (oggi si ridenominati «percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento», dopo aver subito il dimezzamento di fondi e ore).

Ma il lavorio sulle proposte da presentare alle regioni non è finito. In teoria la caduta del capitolo istruzione semplifica parecchio i nodi finanziari, perché toglie di mezzo più dell’80% della spesa statale teoricamente trasferibile sul territorio (8,6 miliardi solo in Lombardia e Veneto). Ma anche su questo punto la battaglia resta più politica che pratica. «Non accetteremo compromessi» mette le mani avanti la ministra leghista degli Affari Regionali Erika Stefani, che rivendica anche il «successo» delle richieste dei governatori su ambiente, sanità e sviluppo economico.

Resta aperta la questione delle sovrintendenze, su cui ieri il premier Conte ha prospettato qualche apertura anche per bilanciare i “no” sulla scuola. Ma soprattutto resta l’incognita sull’accoglienza che i presidenti di Regione, a partire dai leghisti Fontana (Lombardia) e Zaia (Veneto) daranno agli articolati. Dalle prime dichiarazioni la strada non sembra affatto in discesa: «Sono basito», ha detto Luca Zaia. «Mi ritengo assolutamente insoddisfatto dell’esito del vertice di ieri sull’autonomia», ha aggiunto Attilio Fontana. Che ha chiosato: «Aspettiamo di vedere il testo definitivo, ma se le premesse sono queste, non firmerò l’intesa».