In 20 anni dieci ministri e troppe riforme incompiute

da Il Sole 24 Ore

di Luisa Ribolzi

Nel rivolgere delle richieste al nuovo ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, indicando delle priorità, mi trovo in difficoltà: la quasi totalità dei problemi sono rimasti irrisolti, e quindi dovrei ripetere un elenco stucchevole. Come docente universitario, il ministro Fioramonti è interessato alla ricerca e all’istruzione di terzo livello, cui ha dedicato l’11 marzo un post su Facebook, in cui elenca dieci punti che ritiene fondamentali per lo sviluppo del settore (preruolo e reclutamento dei ricercatori universitari, progressione di carriera verso il docente unico, diritto allo studio, dottorato di ricerca e anagrafe degli accademici, governance, accesso alle università, lauree abilitanti e specializzazioni di medicina, aumento di un miliardo per il finanziamento di università e ricerca, ripartizione perequativa di risorse e personale, semplificazione, trasparenza, autodisciplina e valutazione).

Il desiderio di rispettare il numero canonico di dieci ha portato forse a mettere troppa carne al fuoco, ma l’elenco è esauriente, e se su alcuni punti non si può non essere d’accordo, su altri ho delle perplessità legate ad un apparente ritorno al centralismo e a una riduzione del peso del merito. Non si può pensare di delineare una complessa opera di miglioramento nel breve spazio di un post, né si può considerare realistica la data indicata per la soluzione, la fine dell’anno, ma le intenzioni sono buone e sarebbe già molto se in questi quattro mesi il ministro individuasse delle priorità e iniziasse ad affrontarle una alla volta, senza pensare a una riforma di sistema di cui non abbiamo nessun bisogno.

La stessa raccomandazione vale per la scuola. In vent’anni abbiamo avuto dieci ministri e una serie di riforme quasi tutte incompiute, e svuotate dei contenuti innovativi per la sorda o esplicita resistenza del sistema, e se dovessi indicare al ministro tre “parole chiave”, indicherei sistema, valutazione e autonomia.

Scuole, formazione professionale, istruzione di terzo livello costituiscono un sistema strettamente interconnesso, e ogni intervento settoriale comporta una serie di ricadute che dovrebbero essere tenute presenti. Per fare un esempio, il concorso per dirigenti bandito nel 2017 e concluso nei giorni scorsi (e già questo suggerirebbe una profonda revisione dei meccanismi di reclutamento) prevede l’immissione in ruolo di 1.984 dirigenti: ma circa la metà sono stati assegnati a una sede diversa da quella della residenza e, poiché non si è modificata la retribuzione, è più che comprensibile che molti cercheranno di rientrare e non esclusivamente per motivi affettivi.

La valutazione va rafforzata non solo per introdurre meccanismi premiali per i docenti e i dirigenti più impegnati, che operano in sedi disagiate, che insegnano materie di difficile reperimento, che assolvono compiti aggiuntivi; non solo per differenziare i finanziamenti assegnandoli sia con valore premiale alle scuole migliori, sia con valore di sostegno alle scuole deboli, ma anche per capire che cosa funziona e che cosa no nei provvedimenti adottati.

Quanto all’autonomia, a vent’anni dal Dpr 275/99 siamo ancora in presenza di una autonomia incompleta, che limita la possibilità delle scuole di formulare e realizzare progetti formativi condivisi dai genitori e destinati a rispondere a bisogni formativi generali, oppure legati alla specificità degli indirizzi, al territorio, a particolari gruppi di ragazzi. Con l’autonomia deve crescere anche il controllo, ma il modello centralizzato e standardizzato ha chiaramente mostrato i suoi limiti in termini di efficacia, efficienza ed equità. In questo rientra il tema del sistema integrato, in cui le scuole paritarie, anziché essere valorizzate per i molti apporti che danno al Paese, vengono sempre più spesso penalizzate.

Resterebbe da affrontare il nodo degli insegnanti: nessuna scuola, si dice, può essere migliore degli insegnanti che ci lavorano. Eppure, mi si rafforza sempre più la convinzione che finora gran parte delle politiche educative sono state finalizzate non agli studenti, nonostante le molte affermazioni su “gli studenti al centro”, ma al personale che ci lavora. Su questo, e su quella abolizione del precariato di cui si parla da quarant’anni, sono state prese molte misure caratterizzate dall’impermanenza e dalla contraddittorietà: servirebbe un ministro capace di avere la vista lunga, e di tracciare un percorso che prenderebbe, io credo, lo spazio di molte legislature, così che non può essere capitalizzato da chi lo inizia. Che dire? Abbiamo di nuovo un universitario al Miur, dove hanno dato ottima prova ministri come Berlinguer e Profumo: mi auguro che da viale Trastevere venga ancora una reale spinta all’innovazione e al miglioramento.