Bullismo, concorso di colpa per la reazione violenta della vittima

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Alberto Moramarco

In caso di reazione violenta da parte della vittima di bullismo nei confronti del “bullo”, deve essere riconosciuto il concorso di colpa anche se l’aggressione è avvenuta in un secondo momento, dovendosi tener conto, sotto il profilo della causalità e in termini di equità, delle vessazioni precedentemente subite dallo studente, non tutelato dalla scuola. Ad affermarlo è la Cassazione con una densa ed articolata ordinanza (22541/2018), nella quale si dà rilievo altresì all’importanza dell’educazione impartita dai genitori ai propri figli.

Il caso
La vicenda prende le mosse da un litigio scoppiato nelle vicinanze di una scuola tra due studenti, all’esito del quale uno di essi riportava, a causa di un pugno sul volto, un’avulsione traumatica ad un dente ed escoriazioni al labbro. In seguito all’accaduto si apriva un procedimento penale nei confronti del ragazzo-aggressore, che si concludeva con una sentenza di non luogo a procedere, in quanto i giudici del Tribunale dei minorenni avevano rilevato la presenza della provocazione e perciò ritenevano l’alunno non meritevole di sanzione penale.

La controversia si spostava così dinanzi ai giudici civili, ai quali il ragazzo-aggredito chiedeva che gli fosse riconosciuto un cospicuo risarcimento del danno da parte del suo aggressore, nonché dei suoi genitori ex articolo 2048 Cc, in quanto responsabili in solido del fatto illecito commesso dal loro figlio minore. In tale sede emergevano poi più chiaramente due aspetti della vicenda: i continui atti di bullismo, a cui il ragazzo-aggressore avrebbe reagito, e la giustificazione della reazione di quest’ultimo da parte dei suoi genitori. In primo grado, il Tribunale escludeva la responsabilità dei genitori e riconosceva un concorso di colpa tra i due ragazzi, mentre la Corte d’appello al contrario riconosceva la responsabilità in base all’ articolo 2048 Cc ed escludeva il concorso di colpa dell’alunno aggredito.

Il ruolo dei genitori
La delicata questione giunge così in Cassazione, dove i giudici di legittimità chiariscono alcuni aspetti giuridici della vicenda e offrono al contempo importanti spunti di riflessione sull’importanza dell’educazione impartita dai genitori e sulla piaga del bullismo. Quanto al primo tema, la Suprema corte ricorda come per andare esenti da responsabilità i genitori avrebbero potuto e dovuto provare di aver impartito al proprio figlio «un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari», ovvero di aver «esercitato sul minore una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti», sicché l’azione violenta del figlio non avrebbe potuto essere imputabile ad una loro negligenza educativa. I genitori, invece, si sono limitati a giustificare l’azione violenta del figlio quale risposta alla serie di soprusi di cui era stato vittima, «dimostrando di non aver percepito il disvalore della condotta del figlio e la gravità del fatto imputatogli». Pertanto, dal punto di vista giuridico, per la Cassazione sussiste una responsabilità dei genitori per il fatto illecito commesso dallo studente.

La piaga del bullismo
Quanto al tema del bullismo, i giudici di legittimità ritengono doveroso contrastare questo delicato fenomeno sociale, anche attraverso il riconoscimento di una sua valenza, in casi come quello di specie, dove non è sufficiente ragionare giuridicamente in termini di stretta causalità generale, ma è opportuno valutare in termini di equità la causalità individuale, dando cioè rilevanza alle costanti provocazioni subite nel tempo dal ragazzo che hanno portato ad una sua aggressione violenta. Ciò vale soprattutto quando la vittima degli atti di bullismo sia un adolescente, in quanto «la sua personalità non si è ancora formata in modo saldo e positivo» rispetto agli avvenimenti di cui è suo malgrado protagonista, essendo possibile che la sua reazione si risolva, «a seconda dei casi, nell’adozione di comportamenti aggressivi internalizzati che possono trasformarsi […] in forme di resilienza passiva e auto conservative, evolvere verso forme di autodistruzione, oppure tradursi, come è avvenuto nel caso di specie, nell’assunzione di comportamenti esternalizzati aggressivi».

Per i giudici di legittimità, inoltre, «il bullismo non dà vita ad un conflitto meramente individuale» e richiede «un coacervo di interventi coordinati» che possano arginare il fenomeno. Per il Collegio, che rimarca pesantemente l’assenza totale di una presa di posizione dell’istituto scolastico nei confronti dei bulli e contro il fenomeno del bullismo, è «doveroso che l’ordinamento si dimostri sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a condizioni vittimizzanti idonee a provocare e ad amplificare le reazioni», soprattutto ove la vittima «venga lasciata sola nell’affrontare il conflitto».

Pertanto, dal punto di vista giuridico, in attesa che «si diffondano forme di giustizia ripartiva specificamente calibrate sul fenomeno del bullismo», per la Suprema corte è necessario condannare tanto i comportamenti prevaricatori quanto quelli reattivi, «senza mortificare le regole causali, né utilizzarle come giudizi di valore», accedendo ad una piano di valutazione complessiva di tutti i fattori concausali della vicenda.