Ma alla famiglia servono anche i nidi

da la Repubblica

di Chiara Saraceno e Giorgio Tamburlini

Un’importante novità della manovra finanziaria è l’istituzione del Fondo famiglia. Vi confluiranno i diversi bonus che in questi anni sono stati introdotti a sostegno di chi ha un bimbo piccolo – dal bonus bebè al bonus nido – cui vengono aggiunti 600 milioni di euro.

Servirà a finanziare un assegno per sostenere il costo del ricorso a servizi di cura. Viene rimandato, invece, il riordino degli altri, più strutturali, trasferimenti legati alla presenza di figli a carico – assegno al nucleo famigliare, assegno per il terzo figlio, detrazioni fiscali – per arrivare ad un assegno unico destinato a compensare parte del costo di mantenimento dei figli fino alla maggiore età.

Sostenere l’accesso a servizi per l’infanzia è importante, non solo per favorire l’occupazione femminile e la conciliazione famiglia-lavoro, ma anche per lo sviluppo dei bambini. Per questo occorre porre molta attenzione a non mettere sullo stesso piano – come invece sembra suggerire la norma del Def ed è esplicito nella proposta di legge Delrio ed altri cui è ispirata – servizi educativi certificati quali i nidi e le scuole dell’infanzia e servizi con prevalenti o esclusive funzioni di custodia, quali baby parking o baby sitter e simili. Una cospicua e crescente mole di studi, effettuati sia in campo internazionale che in Italia, documenta i benefici, per tutti e in particolare per bambini di famiglie di medio-basso livello socio-economico e culturale, della frequenza di nidi di qualità. L’accesso a questi servizi – che nella loro grande maggioranza si fondano su solide basi pedagogiche, con modelli che costituiscono riferimento di eccellenza in tutto il mondo – consente infatti ai bambini di usufruire di opportunità di sviluppo sul piano cognitivo, socio-relazionale e dell’autonomia che non sempre le famiglie sono in grado di offrire. Offre anche ai genitori la possibilità di confrontarsi con educatrici esperte e con altri genitori sui normali problemi che incontrano nel crescere i loro bambini. Inoltre, quando i genitori sono coinvolti, anche per breve tempo, nelle attività educative (lettura, gioco, musica e movimento, piccoli lavori manuali), possono coglierne l’importanza, e la fattibilità anche a casa, osservare il piacere che i bambini ne ricavano, e motivarsi quindi a utilizzare il tempo a disposizione con i propri figli in attività affettivamente ricche e costruttive per lo sviluppo.

La frequenza del nido va quindi fortemente sostenuta sia abbassando la soglia di accessibilità economica, sia e soprattutto aumentando l’offerta, che con qualche buona eccezione in Italia è ancora del tutto insufficiente. A questo proposito si nota la mancanza, nel Def e nel Piano famiglie che si viene delineando, di un investimento significativo in questa direzione. Occorre anche creare la consapevolezza nelle famiglie e nelle comunità che inviare i propri bimbi al nido, a prescindere dal fatto che la mamma sia occupata o meno, rappresenta un grande investimento per il loro futuro, sia immediato che a lungo termine, a differenza del ricorso a forme di custodia senza contenuti educativi. Una recentissima indagine effettuata da “Save the Children” su un campione di bimbi di età compresa tra 42 e 54 mesi ha dimostrato che a questa età i bambini hanno competenze (cognitive, motorie, sociali) che sono già diverse non solo in rapporto al background dei genitori, ma alla eventuale frequenza al nido negli anni precedenti e alle attività svolte in famiglia. Coniugare il sostegno economico alle famiglie che ne hanno bisogno alla maggior fruizione di servizi e proposte educative di qualità è una scommessa che si può vincere solo creando le condizioni necessarie e dando i segnali giusti.

Giorgio Tamburlini, pediatra, ha fondato e presiede il Centro per la salute del bambino Onlus, ed è consulente di diverse organizzazioni internazionali sui temi della salute e dello sviluppo precoce del bambino.