Noterelle a margine di una manifestazione riuscita

Noterelle a margine di una manifestazione riuscita

di Domenico Ciccone

Quella dei dirigenti scolastici italiani, riuniti spontaneamente a Roma, a un tiro di sasso degli stanzoni del MIUR di viale Trastevere, coesi dal comune senso della misura, ormai traboccante e stracolma di responsabilità insostenibili, è stata una manifestazione riuscita, diciamolo senza alcuna remora.

La sensazione di essere reciprocamente sostenuti da un senso comune di solidarietà, di empatica vicinanza e di sostanziale e convinta reazione, di fronte ad un peso schiacciante e logorante, è stata il sentimento più avvertito e palpabile, nello spazio ristretto che gli organi competenti hanno concesso,  pur sapendo che non sarebbe stato sufficiente a contenere i partecipanti, la cui massiccia presenza era stata preannunciata sui social e sui canali non ufficiali della comunicazione informale.

Molti di noi erano ufficialmente in ferie il 30 ottobre scorso, una delle tante giornate di ferie di un dirigente scolastico che, quando non è perduta per “decorrenza dei termini contrattuali”, e Dio solo sa quante giornate di ferie “regaliamo” allo Stato, diventa un modo per dire inutilmente: – “Oggi non sono a scuola”.

Eppure c’eravamo nelle nostre scuole, e qui il possessivo è d’obbligo, perché solo quando qualcosa ti appartiene profondamente ha il diritto di disturbarti anche se, ufficialmente, sei a riposo.

Un figlio che ti sveglia nel sonno, un amico che ha bisogno del tuo aiuto, una scuola dalla quale ti chiamano, naturalmente, senza chiedersi nemmeno perché, oggi, non ci sei andato al lavoro.

E sempre, si risponde.

Noi non facciamo il giuramento di Ippocrate ma, se un giuramento del dirigente scolastico esistesse, sarebbe quello di Socrate: “ In nome della verità, delle leggi della Polis e del loro sacro rispetto”;  e perciò abbiamo anche risposto alle telefonate ed ai messaggi che arrivavano da scuola;  tutti lo abbiamo fatto, nonostante non fossimo al lavoro.

Poi la manifestazione. Un clima di rispetto, di tolleranza, di apertura al confronto ma anche di decisa e ferma protesta. Nessuno si lasci incantare da quanto ho scritto finora, non eravamo a leggere il libro Cuore dei dirigenti ma ad urlare la nostra rabbia, a stare accanto a chi ha avuto “davvero” problemi, a causa della sicurezza e delle sue responsabilità. Una sola delle persone colpite duramente era sul palco a raccontare la propria assurda storia,  a rappresentare il simbolo delle ingiustizie a carico di chi è fatto responsabile di tutto senza poter governare ed agire sul tutto. Io vi assicuro, ne conosco troppi, tra coloro che erano tra il pubblico ad applaudire oppure sfiniti su una panchina o seduti sul marciapiede basso per la stanchezza; troppi di noi che hanno passato un guaio con la giustizia, per una vicenda di cattiva gestione degli edifici e delle loro pertinenze, da sempre lasciati cadere degli enti locali sempre più forti, sempre più protetti, sempre più inadempienti.

Siamo lì, rispettiamo la legge, le sentenze, le istituzioni, le loro sacrosante competenze, ma pretendiamo rispetto! Non ci stiamo più a subire, non ci possiamo più accollare responsabilità e doveri non nostri in nome della dirigenza. Le norme che hanno caricato il nostro profilo di responsabilità datoriali, anche in materia prevenzionistica, sono state pensate e scritte da e con prospettive diverse. La scuola, alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, era nel pieno della riforma dell’Autonomia. La dirigenza scolastica era stata pensata e normata in maniera da sostenere la riforma autonomistica e i processi a lunga gittata che la connotano.

Il MIUR doveva continuare ad esserci ma solo per garantire l’unitarietà del sistema educativo di istruzione e formazione, le sue diramazioni territoriali dovevano essere poste al servizio della scuola autonoma, con veri e propri Centri di servizi amministrativi pronti a supportare le scuole. In questo clima di fervore e di cambiamento accettammo, non di buon grado a dire il vero, la qualifica datoriale in materia di sicurezza sul lavoro.

La realtà è stata ben altra: Autonomia affievolita, dirigenza mortificata, non solo nella retribuzione, diventata appena dignitosa dopo ben 19 anni, ma nei fatti. Sembra quasi che ci sia una vera e propria controriforma continua e sistematica della legge 59/97; L’autonomia appare spesso un ulteriore aggravio di adempimenti più che un’opportunità, un modello di stanca burocrazia, che spesso ricusa i necessari modelli di efficienza e modernizzazione di cui la scuola ha bisogno.

La controriforma ha minato i poteri delle scuole e dei dirigenti, li ha pian piano affievoliti, resi inutili e sfiancanti. A volte li ha improvvisamente restituiti, per poi toglierli di nuovo e ridarli a gocce, che non hanno mai dissetato l’arsura perpetua del cambiamento negato.

Le responsabilità in materia di sicurezza, invece, quelle non sono mai state ridimensionate. L’orizzonte dell’Autonomia, ristretto ormai a vedute miopi e sfuocate non ha mai toccato, guarda caso, le responsabilità in materia di sicurezza. Sembrano tutti d’accordo nel togliere alla scuola l’impossibile: assistenti materiali, mensa, trasporti, servizi, telefoni, Internet e custodi, assistenza tecnica ed estintori a carico dell’ente locale…  ci hanno silenziosamente affamati e indeboliti ma nessuna norma, in materia di sicurezza, ha ridimensionato minimamente le nostre responsabilità.

Rispettiamo dunque le sacre leggi della Polis, ma, se permettete, alla malafede ormai lampante e conclamata, rispondiamo con un corale NO!

Siamo solo all’inizio. Abbiamo tanti assi da giocare, proprio sui tavoli dove siamo stati bravi e forti, dove abbiamo dato lustro all’Italia ed alla sua immagine in Europa e nel Mondo.

I dirigenti scolastici potrebbero iniziare a stancarsi di essere quelli più bravi a spendere fondi europei, ad esempio. Potrebbero stancarsi di gestire progetti, esami di Stato quasi sempre gratis, concorsi per il reclutamento di personale, ancora più gratis, questi ultimi … e ne hanno ancora di esempi.

Potrebbero dire basta alle ingiuste attribuzioni, che gli cambiano completamente il ruolo e le responsabilità, facendogli svolgere un lavoro che non hanno scelto e per il quale non sono stati assunti. Potrebbero chiedere alla Corte di Giustizia europea di essere trattati come persone normali, la cui salute vale quanto quella di ogni altro lavoratore ed il cui benessere esistenziale non può essere calpestato, mille volte al giorno.

Potrebbero perfino continuare a regalare ferie e giorni di riposo, ma hanno solo iniziato a capire che, finora, non ne è valsa la pena e che forse non vale continuare, semplicemente perché non è giusto!