Giù le mani dall’INVALSI!!!

Giù le mani dall’INVALSI!!!

di Ariella Bertossi

Ci risiamo! Ancora una volta, dopo ogni tornata elettorale, ritorna il mantra del nuovo ministro di turno: la scuola deve cambiare! Di fronte ai soliti proclami, spesso c’è la sensazione che i cambiamenti di fondo proposti non siano sostanziali, ma che si punti a lasciare il proprio imprimatur su una riforma che poi rimarrà magari solo oggetto di studio nei concorsi da dirigenti. Dopo solo un anno, stavolta si annuncia la prossima modifica dell’esame di stato del 2 ciclo (anche se non sono stati emanati ancora decreti a proposito), si promettono i soliti aumenti di stipendio ai docenti, ma ahimè partono anche riflessioni che lasciano quanto meno perplessi chi di scuola si occupa. 

Uno dei temi caldi stavolta è quello relativo alle prove Invalsi, dette anche prove nazionali: il min. Fioramonti ha affermato che, pur riconoscendone l’importanza e la validità, queste prove dovrebbero essere facoltative, non si dovrebbe infatti studiare per i test, ma per fini più profondi. Rincara la dose anche Susanna Tamaro che confessa di essersi misurata con le prove e di ritenerle umilianti, chissà poi perché dato che sono slegate ormai da qualunque valutazione disciplinare.  Pur riconoscendo che certamente tutti i test possono avere dei limiti, vorrei richiamare le motivazioni sul perché le prove Invalsi siano state introdotte e sulla loro utilità.

Mi permetto dunque di presentare delle riflessioni per spiegare come esse siano estremamente importanti se svolte dalla totalità delle scuole italiane, obbiettivo raggiungibile solamente rendendole prescrittive e per farlo è necessario sintetizzare alcuni punti importanti delle ultime vicende della scuola italiana.

Fino al 1999 le istituzioni scolastiche avevano una dipendenza diretta dall’Amministrazione scolastica (Provveditorato agli studi, Ministero dell’istruzione).  Si parlava di Programmi ministeriali, esistevano i presidi e i direttori didattici, ultime ramificazioni di un sistema centralizzato che emanava circolari prescrittive applicate in tutte le scuole d’Italia. A seguito delle numerose riflessioni sul decentramento amministrativo, però, si fece avanti l’idea che anche la scuola dovesse godere di una certa autonomia operativa. Non era infatti più concepibile pensare che un organismo centralizzato potesse gestire e governare il sistema di ogni singola istituzione scolastica, poiché ogni realtà educativa è diversa, risente dell’influenza del proprio territorio e può essere compresa e governata solamente da chi quella realtà la conosce profondamente e ne può proporre i margini operativi di miglioramento.

Fu dunque a seguito della riforma Bassanini del 1997 (Legge 59 del 15 marzo 1997) e dall’entrata in vigore del successivo regolamento (D.P.R. n. 275/1999) quindi a partire dal 2000 che alle istituzioni scolastiche è stata riconosciuta personalità giuridica (cioè potere proprio di azione) e autonomia. A capo di ciascuna istituzione scolastica è stato posto un dirigente scolastico (ex direttore didattico, ex preside) che si avvale della collaborazione di un Direttore dei servizi generali e amministrativi (ex segretario) con diversi impiegati addetti a compiti di segreteria. Dalla istituzione scolastica dipende un numero variabile di scuole distribuite sul territorio; tutti gli insegnanti e gli alunni delle scuole che fanno capo all’istituzione scolastica dipendono dal dirigente scolastico, che è il legale rappresentante dell’istituzione scolastica.

Il DPR 275/1999 ha definito chiaramente le forme e i contenuti dell’autonomia di cui godono le istituzioni scolastiche:

  • autonomia didattica (le istituzioni scolastiche regolano i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni)
  • autonomia organizzativa (le istituzioni scolastiche adottano modalità organizzative che siano espressione di libertà progettuale e siano coerenti con gli obiettivi generali e specifici di ciascun tipo e indirizzo di studio)
  • autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo (le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali)
  • funzioni amministrative di gestione (le istituzioni scolastiche provvedono all’amministrazione, alla gestione del bilancio e dei beni e alle modalità di definizione e di stipula dei contratti di prestazione d’opera secondo le regole di contabilità dello Stato).

Avere autonomia amministrativa ed operativa ha messo le scuole in condizione di assolvere il proprio mandato istituzionale (l’istruzione) esplicando la propria azione tramite il Piano Triennale dell’Offerta Formativa. Non essendoci infatti più i Programmi Ministeriali, rigidi e prescrittivi, ma solamente Linee Guida le singole scuole hanno messo in atto le proprie progettualità e le proprie azioni strategiche al fine di garantire quel successo formativo che tutti gli studenti dovrebbero raggiungere. Al MIUR pertanto rimane in carica la gestione delle assunzioni del personale, dei contratti Nazionali di lavoro, ma anche il monitoraggio del corretto operare delle scuole divenute autonome. Come fare però? Come controllare che anche nella più piccola scuola del più piccolo paese agli studenti venga garantito lo stesso livello di arrivo delle altre? Non essendoci più il vincolo dei programmi centralizzati da rispettare, il sistema poteva implodere e pertanto era necessario organizzare un sistema di valutazione che potesse avere il polso della situazione e controllare che quanto veniva insegnato nelle scuole avesse una base minima comune, affinché nessuno rimanesse indietro.

Insieme all’autonomia scolastica, dalle ceneri del CEDE (Centro europeo per l’Educazione) nasce pertanto anche l’INVALSI, Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione, con una nuova focalizzazione sull’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione. Nel 2004 l’Istituto viene riordinato dal ministro Letizia Moratti e ridenominato Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema educativo dell’istruzione e della formazione, con il compito di effettuare prove periodiche e sistematiche degli esiti di apprendimento.

A partire dall’anno scolastico 2005/06 l’Invalsi predispone le prime prove nazionali da somministrare in tutte le scuole. Il compito fondamentale dell’INVALSI è preparare, pre-testare su un campione e somministrare le prove, elaborarne i risultati e restituirli alle scuole e al Paese. Dopo ogni rilevazione annuale, l’Istituto pubblica un Rapporto che illustra i risultati destinato a scuole, decisori politici, famiglie e media, oltre a un Rapporto tecnico destinato agli studiosi del settore.

La sua attività di ricerca è legata al costante miglioramento delle Prove nazionali e dell’elaborazione dei risultati, ma anche all’approfondimento di particolari aspetti del funzionamento del sistema scolastico nazionale, sia nell’ambito dei propri compiti istituzionali, ad esempio per lo studio delle cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica o della valutazione del valore aggiunto realizzato dalle scuole, sia nell’ambito di progetti di ricerca di propria iniziativa o condotti su mandato di altri enti.

Con il passare degli anni, il sistema ha migliorato nel tempo sia le modalità di somministrazione (ora quasi tutte computer based), sia la restituzione dei risultati: la banca dati consente di seguire gli studenti nel tempo, collocare le scuole in fasce comparabili con scuole simili, valutare quanto è forte l’impatto della scuola sull’apprendimento degli studenti. I dati restituiti possono essere dunque un grande supporto per le scuole che intendono interrogarsi, porsi degli obiettivi di miglioramento e riflettere su dei dati, che possono non essere assoluti, ma che certamente vanno presi in considerazione. L’INVALSI spiega alle scuole in che posizione si trovino rispetto alle altre in Italia in modo da poter avere un metro di confronto: questo aiuta ad evitare l’autoreferenzialità nella propria valutazione. 

Per poter produrre un miglioramento, è opportuno che i sistemi possano essere valutati dall’esterno e per farlo è necessario avere dei dati su cui porre l’evidenza del proprio operare, ma per la scuola tutto ciò è molto difficile, avendo a che fare con variabilità estremamente diverse. 

Se però possiamo considerare la statistica una scienza “affidabile” e che sia possibile comparare generalmente delle scuole con background simili, il somministrare delle prove centralizzate a tutti gli utenti può essere senza dubbio un valido mezzo di lavoro. A questo punto credo sia chiaro perché ritengo necessario che queste prove continuino ad essere svolte da tutti gli studenti: più il campione è ampio e diversificato, più aumenta la precisione dei dati e la comparazione efficace. 

Con la modifica delle pratiche educative, le prove si sono evolute passando dalle più semplici conoscenze alle proposte per competenze. Ora viene chiesto agli alunni di misurarsi per verificare se sono in grado di applicare le proprie conoscenze in altri contesti, se hanno in pratica interiorizzato quanto appreso. Poiché il fine delle prove è quello di misurare le differenze, l’asticella deve essere posta più in alto di quanto sarebbe il limite minimo per ogni classe di somministrazione; in genere sono prove che non tutti riescono a svolgere correttamente, altrimenti risulterebbe molto difficile verificare i punti di caduta e le eccellenze. Una classe che raggiunga i massimi punteggi in modo generalizzato può “sballare” il sistema, suscitando il sospetto del cosiddetto “cheating”. Il sistema infatti è tarato in modo da prevedere che solo alcuni nella stessa classe possano raggiungere i punteggi massimi e la misurazione degli altri punteggi ottenuti costituisce la grande banca dati che da’ il punto della situazione delle singole scuole.

Qualora le prove divenissero facoltative suppongo che le situazioni possibili potrebbero essere diverse, ma in generale credo che continuerebbero a svolgerle le scuole che normalmente ottengono i punteggi più alti: il dato ottenuto infatti potrebbe essere utile nelle presentazioni in sede di iscrizione e indice di qualità per la rendicontazione sociale. Così facendo però il sistema si perderebbe le scuole in difficoltà, o quelle nelle quali il corpo docente si trova contrario in questo tipo di valutazione, in generale lo Stato italiano non avrebbe più strumento da offrire alle scuole per il proprio miglioramento ed uscire dalla propria dimensione. Inoltre misurare le differenze soltanto tra scuole virtuose, porterebbe l’asticella ad alzarsi sempre più e se questo sistema può indurre ad interrogarsi e trovare migliori strategie di insegnamento, porterebbe queste scuole a tendere sempre più al miglioramento, lasciando le altre al loro destino.

Ritengo pertanto importante che i “test” continuino ad essere somministrate in modo sistematico, con la massima serietà, poiché la lettura dei dati diventa sempre più precisa ed ora anche in grado di certificare delle competenze parallelamente a quelle che certifica la scuola e spesso non in sintonia tra di loro.

Certamente queste prove costringono a pensare, a lavorare e a mettersi in discussione, sono oggetto di rivalsa dei sindacati, che sfuggono da sempre qualunque strumento che valuti il sistema e di conseguenza anche i docenti. Modificare il sistema nazionale di valutazione certamente alleggerisce le scuole sia dal punto di vista organizzativo, che lavorativo: l’impegno può essere notevole, soprattutto in periodi in genere già densi di attività e di iniziative. Ritengo però che sia una grande opportunità per gli studenti, che andrebbero informati dell’utilità di quanto viene chiesto loro e non sobillati al boicottaggio. Purtroppo però molto spesso ci si ferma all’incombenza contingente, senza sollevare lo sguardo verso finalità più grandi. 

Auspico pertanto che il ministro riveda le sue posizioni, comprendendo che la generalizzazione della somministrazione rientra nella democraticità di un sistema che punta al miglioramento. Se invece si intenderà favorire un corpo docente che tutto sommato ormai verso le prove nazionali non esprime più il dissenso dei primi periodi, mi auguro si saprà elaborare altri metodi per garantire il miglioramento del servizio scolastico.