Prof a lezione di coding (per legge): ecco perché è così importante impararlo

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da Corriere della sera

VAlentina Santarpia

Anche gli insegnanti dovranno andare a lezione di coding: lo prevede un emendamento approvato dalle Commissioni cultura e lavoro della Camera al decreto scuola che oggi va in Aula. Il coding è stato infatti inserito tra i «crediti» che dovranno acquisire i prof per poter partecipare sia al concorso ordinario che straordinario. Si tratta dei 24 CFU in discipline pedagogiche e metodologie didattiche che costituiscono titolo di accesso al concorso. A dover studiare coding saranno tutti: anche gli insegnanti che non hanno a che fare con le materie scientifiche. «Si tratta di una vera e propria rivoluzione nelle competenze richieste ai docenti – commentano Valentina Aprea e Paolo Zangrillo, di Forza Italia, che hanno proposto l’emendamento -, mirata a superare la criticità all’approccio del digital e a favorire l’innovazione didattica e metodologica per una scuola che alleni al futuro e sia sempre più competitiva con le realtà internazionali». Ma, in sostanza, a cosa serve imparare il coding, ovvero la programmazione informatica? Soprattutto a chi non lavora con computer e numeri?

I corsi online gratuiti

«Non è appannaggio degli informatici: può essere trasposto in attività molto intuitive, che non hanno prerequisiti, possono essere alla portata di tutti», spiega innanzitutto Alessandro Bogliolo, ingegnere elettronico, docente di Architettura degli elaboratori all’università di Urbino e coordinatore dell’European Code Week, ovvero l‘iniziativa europea per la diffusione del pensiero computazionale. Bogliolo, molto prima che al governo si accorgessero dell’importanza del coding, ha iniziato a fare divulgazione per gli insegnanti: «Dal 2016 ad oggi faccio corsi gratuiti online aperti e gratuiti per insegnanti per spiegare loro questo genere di cose con metodi che puntassero alla massima semplificazione nel rigore ma che abbattessero le barriere d’accesso».

La «scacchiera magica»

Ovvero? Bogliolo ha personalmente progettato e brevettato una straordinaria scacchiera che, fisicamente, mostra a chiunque- dai bambini della scuola dell’infanzia agli studenti universitari- come funziona il coding e soprattutto a cosa può servire: chi volesse comprarne la versione «sofisticata» può acquistarla da Campus store, che ha accettato di investire in questo progetto producendone una versione per le scuole o gli asili che vogliono un materiale a norma. Altrimenti chiunque può stampare gratuitamente e usarla con i fogli di carta. Il primo corso che Bogliolo ha messo online, Coding in your classroom now, ha creato una comunità di insegnanti di 33 mila persone e un milione di bambini che praticano coding ed è diventato un insegnamento universitario: «Anche gli studenti che fanno informatica studiano queste cose e non le trovano banali», spiega Bogliolo. «Le attività che hanno una loro fisicità, una trasposizione in istruzioni di movimento sono le più intuitive- aggiunge – Questo metodo è stato concepito per chi non ha dotazioni particolari, come i robot, di sperimentare queste tecniche come metodologie didattiche in classe». Ma come funziona? Basta posizionare qualsiasi oggetto o persona sulla scacchiera, e poi provare a fare in modo che la «pedina» esegua delle istruzioni precise. Elaborare le istruzioni con un codice preciso e verificare che abbiano esito positivo, significa mettere alla prova le proprie capacità. Ma anche sbagliare è fondamentale: perché se ad esempio con le istruzioni mando la pedina fuori gioco, saprò che devo modificare il mio programma. «Il programmatore non si mette mai in cattedra, perché sa benissimo che la parte integrante del suo processo è fare errori, identificarli e poi correggerli. Per cui anche quando l’insegnante propone di fare agli alunni qualcosa usando il coding, deve mettersi dalla loro parte, perché se no rischia di fare delle figuracce», dice il docente.

A chi serve il coding (e perché)

Perché è così importante allora imparare il coding? «È importante perché intanto ti dà l’idea di che cosa la tecnologia in effetti consente di fare, ovvero ti dà una consapevolezza anche aiutandoti a ripristinare il giusto rapporto tra tecnologia ed essere umano e capendo che è sempre l’essere umano il programmatore: la tecnologia non è magia ma risponde ai comandi», elabora Bogliolo. L’altra ragione è che ovviamente «la programmazione, per chi deciderà di farne una professione,oggetto di studio, è anche e il modo più veloce, più efficiente per fare innovazione, per realizzare le tue idee: ma anche se non vuoi farne una professione, ti consente di acquisire una forma di ragionamento algoritmico, cioè di capire come scomporre un procedimento che ti porta alla soluzione di un problema in passi elementari, e così facendo hai anche la consapevolezza della difficoltà di quel procedimento che stai per affrontate, in quanti passi arriverai in fondo. Son tutte cose non banali, che per gli informatici sono oggetto di studio, ma che in realtà divulgati in modo opportuno riescono ad essere portati a tutti, senza necessità di diventare prima degli informatici». In sostanza, partire da un pensiero, invece che da un linguaggio, diventa un vantaggio grosso per tutti, tanto più se questo lo si è fatto da bambini. I riscontri? «Non li ho tanto diretti quanto indiretti- conclude Bogliolo- in questa sorta di comunità di apprendimento e di pratica che si è creata in questo primo corso, ci sono migliaia di insegnanti che quotidianamente si scambiano testimonianze ed esperienze, una cosa estremamente coinvolgente per i bambini e gratificanti per gli insegnanti, che nel fare queste attività si focalizzano sul procedimento e non sul risultato».