PISA 2018: male l’Italia, svetta la Cina, ma crescono i dubbi sul programma PISA

da Tuttoscuola

Lo scorso 3 dicembre sono stati resi noti i risultati delle prove OCSE-PISA svoltesi nella primavera del 2018 in 79 Paesi: tutti quelli aderenti all’OCSE (36, comprese le new entry Lettonia e Lituania) più altri 43 che hanno chiesto di partecipare all’indagine comparativa.

La novità del programma OCSE-PISA 2018, giunto alla sua settima edizione, è senza dubbio l’irrompere della Cina in testa alle classifiche di tutte e tre le competenze misurate: lettura, matematica e scienze. Il resto del mondo non si è di molto discostato dai risultati ottenuti tre anni fa e, per quanto riguarda la lettura, 10 anni fa, quando la reading literacy fu il principale campo di ricerca, come nel 2018.

Quasi tutti i media italiani hanno dato la notizia occupandosi quasi solo delle performance dei nostri studenti, oltre che di quelle eclatanti dei cinesi, con toni preoccupati, in qualche caso anche dolenti se non disperati, quelli che secondo una perversa e radicata consuetudine ‘fanno più notizia’. In realtà la scuola italiana riflette anche in questa classifica il lento declino che ne caratterizza la storia in questo XXI secolo. Il punteggio dell’Italia nella lettura è stato di 476 contro 487 della media Ocse. Un dato peggiore di quello ottenuto nel 2015 (485), che era più vicino alla media OCSE, e inferiore di 11 punti rispetto al 2000 (all’esordio di PISA) e di 10 punti rispetto al 2009; comunque uno dei peggiori tra quelli dei Paesi membri dell’UE. Analogo arretramento in scienze, più contenuto in matematica (487 rispetto alla media Ocse di 489, nel 2015 era stato di 490).

Ma come già detto la vera novità è venuta dalla Cina, che ha però partecipato all’indagine con quattro province economicamente all’avanguardia (Pechino, Shanghai, Jiangsu, Zhejiang), superando Singapore, altra città-Stato ad alto sviluppo e reddito. Ed è nota la correlazione abbastanza stretta tra la curva della ricchezza e quella del rendimento scolastico, anche se Federico Fubini fa giustamente notare sul ‘Corriere della Sera’ di domenica 8 dicembre che di per sé il livello della spesa per l’istruzione non garantisce risultati scolastici migliori: “quasi tutti i Paesi europei che investono meno dell’Italia per ogni studente dai sei ai quindici anni di età hanno anche risultati superiori all’Italia nei test PISA. È il caso (in ordine decrescente di spesa) della Spagna, dell’Estonia, di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Irlanda e Lituania”. E la Svezia ha risultati molto inferiori a quelli che lascerebbe prevedere la sua altissima spesa in istruzione. Questo significa, come commenta Roberto Ricci, responsabile nazionale delle prove Invalsi, che la spesa per l’istruzione in Italia “non è solo bassa, è anche meno efficiente che in altre aree d’Europa”.

La Cina comunque, a differenza dell’Italia e di altri Paesi (probabilmente non tutti), non ha messo in campo un campione rappresentativo di tutte le regioni e di tutti i tipi di scuola. Insomma, è un po’ come se l’Italia avesse schierato le Province di Trento e Bolzano e i licei di Milano e Torino. Ora staremmo celebrando il successo dell’Italia nelle classifiche PISA. Ma altri dubbi sul modello valutativo dell’OCSE sono emersi anche nel dibattito scientifico, come spieghiamo nella notizia successiva.