Fioramonti (per ora) resta al suo posto

da Il Sole 24 Ore

di Eu.B.

Il ministro Lorenzo Fioramonti resta al suo posto. Almeno per ora. Ma la situazione dalle parti di viale Trastevere è così fluida che il quadro potrebbe mutare a breve. Già a ridosso delle festività natalizie o all’inizio del nuovo anno. E prese di posizione sulla manovra e sulle poche risorse che destina al mondo dell’istruzione – come quella arrivata ieri dalla Conferenza dei rettori (Crui) contro una legge di bilancio che «penalizza l’università» e «dimentica i giovani» – potrebbero anche spingere il responsabile del Miur a compiere un passo indietro.

I termini della questione sono ormai noti. All’indomani della nomina a ministro dell’Istruzione nel governo Conte 2, Fioramonti ha rilanciato un monito che lo aveva già caratterizzato quando era viceministro nell’esecutivo Conte 1. ALzando la posta che allora era di 1 miliardo per atenei e ricerca e arrivando a 3 miliardi per scuola e università da reperire nella prima legge di bilancio utile. Altrimenti si sarebbe dimesso. Dei 3 miliardi invocati urbi et orbi dall’esponente pentastellato nel disegno di legge di bilancio, che lunedì 23 dicembre dovrebbe ottenere il via libero definitivo di Montecitorio, non c’è traccia. Nella sua relazione alla commissione Cultura della Camera, Gabriele Toccafondi (Iv) ha quantificato infatti in 536 milioni il maggiore stanziamento per il 2020 in dotazione al Miur rispetto al 2019.

Per ora, a chi gli ha chiesto se ha ancora intenzione di dimettersi, Fioramonti ha risposto laconicamente: «Mie possibili dimissioni? Sono qui e come potete vedere sto lavorando, sto lavorando…». Una circostanza confermata dai suoi più stretti collaboratori. Del resto i dossier aperti non mancano. Sia in materia di scuola, come lo sblocco delle risorse dell’8 per mille destinate all’edilizia scolastica. Sia in materia di università, dove le urgenze più grandi riguardano il decreto che riforma i dottorati e, soprattutto, l’istituzione della nuova anagrafe della ricerca e dei ricercatori. Non farla partire significherebbe impedire all’Agenzia Anvur di emanare il bando per il nuovo ciclo di valutazione della qualità della ricerca: la Vqr 2015/19. E rallentare l’aggiornamento dei criteri da usare per assegnare agli atenei i fondi premiali.