L’isolamento del prof di Pretoria “Non ho più coperture politiche”

da la Repubblica

Corrado Zunino

La freddezza con cui il premier Conte lo ha salutato all’ultimo Consiglio dei ministri gli ha restituito i tempi in cui, assegnista di Scienze politiche all’Università di Bologna, Lorenzo Fioramonti portava avanti le sue ricerche scrivendo sul portatile personale, seduto su una panca in corridoio: «Nessuno mi prendeva sul serio, figuriamoci se qualcuno mi dava un ufficio. Ero uscito con il massimo dei voti alla Maturità, mi ero laureato con la lode, ero pure dottorato, ma l’unica volta che i professori del Dipartimento mi avevano avvicinato era stata per chiedermi di non partecipare a un concorso per ricercatore. Quei posti erano già assegnati».

Lorenzo Fioramonti è nato a Torre Gaia, quadrante Est della capitale. Liceo a Tor Bella Monaca, hub della droga pesante. Conosce il suo Paese dal basso e l’università italiana per il dolore che a 42 anni ancora sente. L’altra sera, a Montecitorio, ai colleghi cinquestelle che volevano schermarlo dai giornalisti aveva confessato: «Non sono coperto economicamente, non sono coperto politicamente, come faccio a continuare a fare il ministro?». I tre miliardi per scuola e università li aveva chiesti che era ancora il vice di un titolare dell’istruzione leghista, suo primo nemico allora. «Con il mio curriculum faccio il secondo di Bussetti, un professore di ginnastica», sottolineava al suo staff. Poi, appena nominato nel nuovo governo Pd-Cinque Stelle, ha ricordato i finanziamenti necessari nella prima intervista: «L’università italiana, che è tra le più innovative ed eccellenti nel mondo, è sottofinanziata e sfinita dalla burocrazia». Con le sue dimissioni, lo resterà.

L’asticella, si è capito subito, era troppo alta: l’Iva da sterilizzare, gli spiccioli rimanenti da mettere sul cuneo fiscale. Non poteva essere questo il governo che avrebbe cancellato l’ottusa parsimonia negli investimenti sul motore di un Paese: «Università e ricerca costruiscono il futuro di tutti noi», ha scritto nel suo post di addio su Facebook anticipato dal sito di Repubblica. «Pare che le risorse non si trovino mai quando si tratta di scuola e ricerca, eppure si recuperano centinaia di milioni di euro in poche ore quando c’è la volontà politica». Fioramonti, liberato nel percorso professionale dalla chiamata inaspettata ottenuta dall’Università di Pretoria come docente di Economia politica, con il suo ultimatum lungo quattro mesi, da ministro dell’Istruzione ha avuto il merito di mettere al centro la questione del sapere agganciandola, quindi, all’urgenza ecologica: «Siamo i primi al mondo a portare l’Educazione ambientale nell’orario scolastico», scrive ora. Poi, però, non è andato a difendere le sue richieste ai “tavoli quotidiani”: le tante riunioni sulla manovra, le commissioni di Camera e Senato. Ha lasciato che a suggerire emendamenti fossero deboli docenti d’area grillina. «Non abbiamo mai percepito un pressing sulle questioni avanzate », fanno notare ora al ministero dell’Economia.

Mentre i renziani, timorosi di regalare a Salvini elettori con le nuove tasse ipotizzate da Fioramonti, smontavano l’aumento delle imposte su Coca Cola e caviale, il ministro viaggiava per laboratori dicendo agli studiosi dell’Area Science Park di Trieste e del Gran Sasso: «Meritate più fondi». In Parlamento, però, i finanziamenti restavano ancorati a quota 2 miliardi, quasi tutti destinati all’aumento per i docenti. Lo stesso ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, a chiusura Finanziaria sancirà: «Nella prossima manovra rafforzeremo gli interventi in questo comparto».

Non sono coperto politicamente, diceva appunto Fioramonti. L’unico ministro Cinque stelle che è intervenuto dopo le dimissioni è stata Fabiana Dadone (Pubblica amministrazione) e gli ha dato del vigliacco. Il silenzio è stata la cifra, prima e dopo, di Luigi Di Maio, che ne ha sempre temuto i movimenti. Diversi nel partito ora dicono che si è dimesso per le pressioni della moglie, che vuole riportare tutta la famiglia a Berlino.

Lorenzo Fioramonti voleva togliere i crocifissi e mettere in classe i mappamondi. Da attivista insultò Berlusconi e la Santanché sui social, da ministro avrebbe voluto trasformare i terreni dell’Università di Roma Tor Vergata nella più grande serra del mondo. Per combattere la mala università, però, si era affidato all’inconsistente Iena Dino Giarrusso. «Il governo doveva avere più coraggio », dice: «A volte bisogna fare un passo indietro per farne due in avanti. Il mio impegno per la scuola e per le giovani generazioni non si ferma qui». Resta un deputato della Repubblica italiana, uno dei tanti.