SLA, sostegno alle famiglie con bimbi piccoli

Redattore Sociale del 03.01.2020

SLA, sostegno alle famiglie con bimbi piccoli (e uno studio) 

È il progetto “Baobab”, uno sportello nato grazie all’impegno dell’AISLA. Previsto uno studio su 45 ragazzi per fotografare gli effetti della malattia dei genitori sullo sviluppo psicologico dei figli. 

ROMA. Si sente spesso dire che la disabilità riguarda non il singolo individuo, ma l’intera famiglia. Un assunto sempre vero, ma ancora di più quando si tratta di una patologia grave e dagli esiti estremamente invalidanti come la sclerosi laterale amiotrofica. E, se possibile, è ancora più vero quando la malattia fa il suo ingresso all’interno di una famiglia giovane con figli piccoli o comunque minorenni. Per capire meglio come e quanto la Sla incida a livello emotivo ed affettivo sulla crescita dei bambini, l’AISLA (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) ha promosso il progetto “Baobab”, in collaborazione con la fondazione Mediolanum onlus. Si tratta di uno sportello di consulenza psicologica gratuita per le famiglie, a cui farà presto seguito uno studio sui bambini e preadolescenti con genitori colpiti da Sla. Ne parla, sulle pagine di SuperAbile Inail, Antonella Patete.
“L’iniziativa nasce dall’esperienza sul campo all’interno del servizio psicologico del Centro clinico Nemo di Milano”, spiega Gabriella Rossi, coordinatrice dei 14 psicologi attualmente coinvolti nel progetto. “L’abbassamento dell’età di insorgenza della Sla ci ha indotto a concentrare l’attenzione non solo sui singoli pazienti, ma anche sugli altri membri della famiglia, specie quando si tratta di bambini. Ci siamo chiesti come il deterioramento delle condizioni fisiche dei genitori potesse influire sullo sviluppo psicologico dei figli”. Da qui lo studio biennale che coinvolgerà 45 ragazzi fino a 16 anni, articolandosi in tre fasi distinte: la valutazione dello stato psicologico dei soggetti interessati, l’individuazione di possibili soggetti a rischio e l’attivazione di progetti di psicoterapia per aiutarli.
“Le situazioni possono essere molto diverse le une dalle altre”, prosegue la psicologa. “Io stessa ne ho incontrate di diametralmente opposte. Mi ricordo un padre di tre figli di età compresa tra i 7 e i 17 anni. Il più piccolo era il più sofferente, diceva molte bugie e a scuola era sempre distratto. Ma anche la figlia di mezzo, che sembrava la più serena della famiglia, faceva dei disegni molto significativi, con le figure dei familiari impossibilitate a toccarsi tra loro perché prive di braccia e lei stessa rappresentata sempre al di sopra degli altri e a distanza da tutti. Tra i genitori esistevano conflitti e dissapori anche precedenti alla comparsa della malattia. E così il papà era molto preoccupato, non solo per la propria situazione, ma anche perché si sentiva la causa delle paure dei figli”.
Non tutte le esperienze di questo tipo possono, col tempo, contribuire a strutturare personalità fragili o causare vere e proprie psicopatologie. “Ho conosciuto una signora malata con una figlia ai primi anni di scuola elementare. Nonostante fosse sui 45 anni, la donna viveva già in stato di paralisi quasi totale e si esprimeva con un comunicatore oculare. La coppia aveva una buona sintonia, ma temeva comunque che la serenità della bambina celasse una forte sofferenza di fondo. Conoscendo la bambina mi accorsi, però, che non si trattava di una normalità di facciata, in quanto la piccola si era identificata nella mamma piuttosto che nella sua malattia”.
Insomma, il senso di “Baobab” è proprio questo: rilevare le situazioni più difficili per accompagnare la famiglia in percorsi di cura e confronto. Ma anche partire dalla fotografia realizzata dalla ricerca per elaborare una serie di indicazioni rispetto alle modalità educative e al grado di aiuto e di assistenza che si può richiedere ai bambini. A tal fine, nel corso dell’estate, gli psicologi del progetto sono impegnati in un’attività di formazione tenuta in collaborazione con la facoltà di Psicologia dell’Università di Padova.