La dispersione è anche occulta

da Italiaoggi

Emanuela Micucci

«Un persistente divario quantitativo a livello di prima infanzia e università, rispetto ai livelli europei», e «una necessità di attenzione alla qualità delle competenze degli studenti prodotte dall’intero sistema». Questi i rilievi del Cnel su istruzione, università e ricerca nella sua annuale «Relazione 2019 al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali a imprese e cittadini», presentata mercoledì a Roma (www.cnel.it). Attraverso una revisione delle informazioni disponibili ed avendo come riferimento gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu per l’Agenda 2030, il Cnel dà conto dei livelli di qualità nel settore. «Lo stato generale di istruzione e università si può riassumere con alcuni dati essenziali», spiega il presidente del Cnel Tiziano Treu. L’accesso ai servizi infanzia per bambini da 0 a 3 anni resta inferiore alla media europea, sebbene in aumento: 30,7% a fronte del 33% del benchmark Europa 2020.

Nel dettaglio, i posti disponibili corrispondono solo al 24% dei bimbi residenti sotto i 3 anni, sebbene il dato sia in aumento in relazione al calo delle nascite (era del 22,5%). Aggiungendovi i bambini iscritti alla scuola dell’infanzia come anticipatari, pari al 5,3%, e quelli iscritti alle sezioni primavera statali e paritarie non censite dall’Istat, pari all’1,4%, si arriva alla copertura totale del 30,7%. Il Cnel ricorda anche che nella scuola dell’infanzia la copertura, sebbene in calo, è del 94% della fascia 3-5 anni, ben 7 punti al di sopra della media Ocse.

In ambito scolastico, accanto ad un lieve aumento nel numero di diplomati, che sono il 60,9% dei 25-64enni, e una lieve riduzione degli abbandoni precoci, «si segnala il preoccupante fenomeno della dispersione implicita», osserva Treu. Sono, infatti, oltre il 7% i ragazzi diplomati dalla scuola secondaria che non raggiungono le competenze fondamentali previste in italiano, matematica e inglese. La spesa pubblica dedicata all’istruzione terziaria nel 2016 rappresenta una percentuale pari a 1,5% della spesa pubblica italiana totale, pari a 11.589 dollari, la più bassa nell’area Ocse, dove la media è lo 2,9% del pil, pari a 15.556 dollari. Percentuale più bassa anche della media europea, pari al 2,5%. Tuttavia, analizzando le fonti di finanziamento, l’Italia con il 64% dei fondi destinati all’istruzione terziaria derivanti dalla spesa pubblica (0,6% da spesa pubblica, 0,3% da spesa privata) è in linea con la media Ocse (66%: su 1,5% di pil che finanzia l’istruzione, l’1% deriva da fonti pubbliche).

Decisamente sotto alla media europea, dove i finanziamenti pubblici in istruzione superiore salgono al 76% (0,9% da spesa pubblica, 0,3% da spesa privata). I dati Eurostat evidenziano, poi, come l’Italia sia ancora tra gli ultimi Paesi dell’Unione europea per percentuale di laureati. Sebbene negli ultimi 4 anni accademici conclusi, dal 2014/15 al 2017/18, il numero complessivo dei laureati italiani abbia visto un trend positivo, con un aumento di circa 16 mila unità.