Iscrizioni: «sbagliare la scelta delle superiori si paga per tutta la vita (lavorativa)»

da Corriere della Sera

di Redazione Scuola

Scegliere la scuola superiore non è solo questione di attitudine. Il nuovo studio triennale «New Skills at Work», dell’ Università Bocconi e JP Morgan, dimostra come l’Italia paghi il «mismatch» tra competenze e richieste del mercato con una penalizzazione del 9% sulle retribuzioni. E dire che basterebbe una migliore qualità dell’informazione alle famiglie durante l’orientamento alla fine delle medie, per invertire questi risultati e fare la differenza per una intera generazione di ragazzi e ragazze.

Le scelte dei ragazzi

Alle radici del disallineamento tra le esigenze del mercato del lavoro e le competenze disponibili (il cosiddetto skill mismatch) c’è la scelta che centinaia di migliaia di giovani stanno compiendo in questi giorni: quella della scuola superiore e, più avanti, dell’università. A livello internazionale, si calcola che siano i giovani di Italia, Estonia e Irlanda a pagare il conto più alto. «Nella scelta della scuola superiore, le famiglie e i ragazzi sono troppo focalizzati su aspetti di breve termine, come il gradimento dello studente, l’impegno necessario e la qualità percepita dell’istituto, e troppo poco sugli aspetti di lungo periodo, come le prospettive in termini di mercato del lavoro o di accesso all’università», spiega Pamela Giustinelli, professoressa di Economia alla Bocconi, co-autrice di uno studio sulla scelta della scuola superiore.

Poche informazioni

A fronte di un amplissimo ventaglio di proposte formative, la conoscenza delle scelte possibili da parte di studenti e genitori all’inizio della terza media è piuttosto limitata. Il processo di raccolta delle informazioni tende, inoltre, a concentrarsi su quelle che, già all’inizio, erano le alternative preferite. Tali alternative dipendono molto dal background socio-economico delle famiglie e, in parte, dai risultati ottenuti dallo studente. In particolare, gli studenti nelle condizioni più disagiate sembrano prendere in considerazione pochissime alternative. Nel caso in cui l’alternativa inizialmente preferita non fosse la più adatta allo studente, un percorso di raccolta delle informazioni così concentrato potrebbe impedire alle famiglie di ottenere consapevolezza delle alternative più adatte.

Il caso tedesco

In un altro studio dello stesso report, Massimo Anelli, altro professore della Bocconi, analizza la scelta universitaria attraverso una comparazione con la Germania, il grande paese europeo con la struttura produttiva più simile alla nostra. Entrambi i paesi registrano una percentuale di laureati molto più bassa che il resto d’Europa, ma negli ultimi 15 anni la disoccupazione dei laureati tedeschi nella fascia d’età 25-39 anni ha oscillato tra il 2 e il 4%, quella degli italiani tra l’8 e il 13%. «Alla base di questa situazione c’è anche un’informazione inadeguata sugli esiti lavorativi e retributivi delle diverse facoltà, che porta a una scelta basata sulle sole preferenze individuali per le diverse discipline», afferma Anelli. In particolare, la Germania laurea molti più giovani in informatica, ingegneria, economia e management, mentre l’Italia doppia la Germania per laureati in scienze sociali e discipline artistiche e umanistiche e il primo gruppo di lauree rende, in termini economici, tra il 70% e il 100% più del primo.