Violenza appresa e messa in pratica

Violenza appresa e messa in pratica

 di Vicenzo Andraous

Due giovanissimi sopra il treno che li riporterà a casa dopo una giornata di studio o divertimento, stanno rannicchiati in un angolo, stretti come due cuoricini sovrapposti, come quelli che impazzano su facebook, amori belli, amori cari, amori spesso dis-educati.

Un ragazzo e una ragazza identici a tanti altri, con le scarpe slacciate, qualche percing e tattoo di troppo, incarnano la voglia di trasgressione, dove le passioni non sono ”quasi” mai subordinate alle regole, sono passioni imbizzarrite che non conoscono il morso del freno, il rispetto della fermata, dell’accesso consentito dalla ragione.

Arriva il controllore, fa il suo mestiere che poi è il suo dovere, chiede i biglietti, ma non ha riscontro alla sua richiesta, neppure a quella con cui chiede i documenti per redigere la multa, sanzione legittima nei riguardi di chi ha pensato di essere più furbo, e come dice chi sta scrivendo, che non è un saggio cinese: i dazi si pagano sempre, soprattutto quando si pensa di rimanere degli impuniti per sempre.

Accade tutto nella frazione di uno sparo, i toni diventano aspri, le parole come sassi, le mani alzano il tiro, spintonano, urtano le ossa, infrangono i denti, il ragazzo e la ragazza non fanno sconti al malcapitato, al disturbatore di turno, al fastidioso intermezzo, in scena c’è una vera e propria sorta di razzismo al contrario, di ideologia ribaltata, ogni cosa corre sul binario: nel mio territorio non entra nessuno che la pensi diversamente da me, di conseguenza prendi le botte per averci provato.

Quanto è avvenuto su quel treno, qualche volta su un pulman, non sono esternazioni sporadiche, su quel vagone è rappresentato un problema prettamente sociale, uno stile di vita che non è ripetizione delle generazioni precedenti, dei numeri e delle quantità ribelli di tanti anni addietro, non si tratta di giovani che “fanno quello che hanno sempre fatto per reazione all’autorità, alla regola, al comando adulto”. Qui la formulazione sta in un’altra  dinamica, sottoscrizione a una identità che non è legata all’età adolescenziale, dove fatti collaterali o eventi critici sono da sempre negatività prevedibili, perciò messe in conto.

Su quel treno, a quelle fermate degli autobus, dentro le classi, fuori dai pub, è in corso da tempo oramai, una appropriazione indebita di atteggiamenti-comportamenti altrui, è farina di un altro sacco, è violenza messa in gioco dopo averla imparata e fatta propria, un apprendimento sociale che pianta una profonda radice sulla disattenzione, sulla conflittualità verbale e fisica di chi invece dovrebbe risultare esempio autorevole per riformulare percorsi educativi comprensibili per crescere insieme.

Quei due ragazzi sul treno non sono altro che la rappresentazione di una violenza appresa e messa in pratica, che non è parte integrante della nostra struttura biologica, non lo è affatto, è qualcosa che diventa nostro abito mentale, perché il mondo adulto ha deciso da un paio di decenni almeno di mettere in circolo un tradimento culturale, che consiste nel programmare le ferie estreme, le notti insonni, le regalie delle vacanze, autoassolvendo se stessi dalle mancanze e dalle assenze con la più consumata delle barzellette: a volte commettiamo gli stessi errori dei nostri figli……………. Ben sapendo che la verità sta nel suo esatto contrario: sono i ragazzi a recitare da scafati seduttori il nostro repertorio di grossolane bugie, di quotidianità conflittuale ma patologica, di poco rispetto per il valore dei ruoli e delle persone. E mentre ciò accade non proviamo alcuna vergogna, licenziamo il pestaggio su quel treno con una battuta, una risata, una scrollata di spalle, autorizzando a fare passare come una bravata qualcosa che invece non lo è proprio.