La shoà: mi viene da dire…

La shoà: mi viene da dire…

di Domenico Sarracino

Da quando ufficialmente ricordiamo la tragedia della Shoà (ma quanto ogni parola  si rivela inadeguata a racchiuderla!) e anche da prima, da quando da ragazzo vidi in una mostra foto di mucchi di occhiali, di scarpe, di valigie, di capelli, di cataste e cataste di cadaveri, scheletri che camminavano,  sguardi senza occhi, e i sinistri fumi delle ciminiere – due o tre pensieri mi si sono inchiodati nella testa. E li vado ripetendo.

1) Tutto questo è avvenuto nel nostro tempo (appena 60-70 anni fa) e nella nostra tanto decantata civiltà.
2) Com’è stato possibile che uomini come noi – spesso amanti dell’arte, della musica, della grande letteratura e filosofia – alla fine di giornate trascorse ad eliminare con meticolosa “professionalità” migliaia e migliaia di altri uomini senza soffermarsi neppure per un attimo nei loro sguardi, dopo tutto ciò siano tornati tranquillamente alle loro case ed abbiano abbracciato teneramente i loro bambini.

Com’è stato possibile che dopo tutto questo venissero:
– ahimè, i “gulag” dell’Unione Sovietica che pure era nata per liberare gli uomini da ogni oppressione;
– e, da parte della più grande “nazione democratica”, le bombe  al napalm sul piccolo e povero popolo del Vietnam,  che richiedeva solo  il suo sacrosanto diritto   ad autodeterminarsi;
– quell’altro precipizio rappresentato dalla follia dei “Kmer rossi” in Cambogia;
– il genocidio nel Ruanda, più o meno un altro milione di morti, più o meno sotto i nostri occhi, più o meno causato dal cieco colonialismo di blasonati paesi europei;
– e i morti della guerra all’Iraq, scatenata da bugie costruite scientificamente a tavolino e vendute spudoratamente all’opinione pubblica del mondo intero; e ancora una volta dai capi della più grande “nazione democratica” per i quali non ci sono mai tribunali internazionali a cui rendere conto…
– ….

Ed infine, com’è stato possibile che appena qualche anno fa e sotto i nostri occhi, ancora una volta poco vigili, venissero avviate, e pure benedette da qualche santo uomo, le guerre fratricide nei territori della ex Yugoslavia nel nome della religione, delle etnie o degli interessi economici, soffiando sul fuoco di antichi odi e rancori, invece che sopirli con l’aiuto del tempo e con  politiche di  pacifica convivenza. Guerre nelle quali abbiamo dovuto rivedere i campi recintati da fili spinati, misere baracche, e ancora gli sguardi vuoti e senza speranza di uomini e donne ischeletriti dalla fame e disanimati dal dolore; e, poi, ancora fosse comuni, ponti e città distrutte, e infine … gli stupri etnici, sconvolgenti nella loro inaudita crudeltà di costringere le donne a portare dentro di sè delle creature figlie dei loro carnefici ed assumere la  lacerante decisione di che fare.
Come non essere d’accordo con il poeta che con sarcasmo e sferzante ironia bollava i facili esaltatori delle “magnifiche sorti e progressive” dell’umana gente”!

Eppure, con l’ottimismo della volontà e della speranza, vogliamo fare nostre le parole di un altro poeta, il sommo, che faceva dire ad Ulisse, rivolgendosi ai suoi uomini all’atto di tentare l’impresa del superamento delle terre fino ad allora conosciute:
” considerate la vostra semenza/ fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguire virtute e canoscenza”.

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