M. Veladiano, Il tempo è un dio breve

Tra Dio e gli uomini

 di Antonio Stanca

veladianoMariapia Veladiano, preside a Rovereto dopo aver insegnato in un liceo di Vicenza, ha pubblicato presso la casa editrice Einaudi di Torino, nella collana “Stile Libero Big”, il romanzo Il tempo è un dio breve, pp. 225, € 17,00. E’ la sua terza opera narrativa. La seconda, La vita accanto, era stata del 2011 ed era rientrata tra le finaliste del Premio Strega di quell’anno. Si era trattato del rifacimento del precedente manoscritto del 2010, Memorie mancate, al quale era stato assegnato il Premio Italo Calvino. Successo di pubblico e di critica ha riportato la Veladiano fin dal suo apparire come scrittrice e seguiti sono pure i suoi interventi su “la Repubblica”, “Il Regno”, “Avvenire” ed altri giornali. E’ nata a Vicenza nel 1960, è laureata in Filosofia, ha la licenza in Teologia Fondamentale, ha cominciato a scrivere di narrativa a cinquant’anni ed ora a cinquantatre ha scritto Il tempo è un dio breve. Qui ritornano i motivi spirituali, religiosi delle altre opere ma con maggiore evidenza poiché legati a circostanze che li fanno risaltare. La formazione, la cultura religiosa, il cattolicesimo della Veladiano diventano lo sfondo sul quale vengono proiettate le diverse vicende di questa ampia narrazione e soprattutto quelle vissute dalla protagonista Ildegarda che ne costituiscono il tema centrale. Intorno a lei si muovono le altre figure dell’opera ma da lei, dal suo spirito vengono riflesse, tutto diventa suo, dei suoi pensieri, dei suoi dubbi, dei suoi dolori, della sua fede. Una serie di sventure è la vita della donna da quando lascia la sua modesta famiglia di agricoltori per diventare la moglie di un bel giovane della ricca aristocrazia lombarda, Pierre, e la madre del piccolo Tommaso. Entrambi, marito e moglie, lavorano presso giornali ma a niente serve che siano intellettuali, non è un motivo utile ad avvicinarli, a tenerli uniti. Pierre ha avuto un’infanzia ed un’adolescenza prive di qualunque attenzione, è cresciuto senza affetti né quello della giovane e bella moglie riesce a colmare una mancanza così grave. Non riesce nemmeno la nascita del figlio anzi aggrava lo stato di apprensione, timore, paura che gli era provenuto dalla sua condizione e lo muove ad andare lontano, a fuggire. Si stabilisce a Londra e sola con un bambino affetto da crisi convulsive si troverà Ildegarda a vivere e lavorare. Anche lei sarà assalita da paure al pensiero di quella che sarebbe potuta essere la vita del figlio, ossessioni diventeranno questi pensieri e nessun rimedio sembrerà derivare dai rapporti con gli altri, famigliari compresi, da esperienze nuove, viaggi e altro.      Soltanto la fede religiosa molto sentita, molto vissuta potrà aiutarla. Dio pregato, invocato, discusso, sarà presente nella mente della protagonista a testimonianza della sua educazione religiosa e della sua ricerca di un riferimento sicuro. Ma neanche quando crederà di aver scoperto nell’amore per Dieter e nel suo amore la fine di tante pene potrà sentirsi sollevata giacché tra breve saprà di essere affetta da una grave malattia e di avere poco tempo da vivere. Fallivano ancora una volta le sue speranze di formare una famiglia, di avere un compagno, di essere aiutata, protetta, di assicurare un padre a Tommaso e Dio diventava per lei, per il figlio, per il luterano Dieter, per il direttore del giornale, per tutti il riferimento più importante. In nome di Dio si conclude il romanzo a conferma di quanto è valso il suo pensiero per Ildegarda e di quanto è contata per la Veladiano di quest’opera la sua formazione teologica.

Sembra di assistere ad una narrazione di altri tempi tanto importante è la funzione esercitata dalla religione, tanto frequenti sono i richiami al Vecchio e al Nuovo Testamento, le citazioni delle loro scritture. Ma gli ambienti, i problemi fanno diventare moderna l’opera, ne fanno un esempio di quella letteratura dei nostri tempi così impegnata a dire di difficoltà, impossibilità nei rapporti, negli scambi, nella comunicazione. Antico e nuovo stanno insieme nel romanzo della Veladiano, in esso la vita a volte sembra un destino inevitabile, a volte un percorso da conoscere, scegliere, stabilire, compiere. Sospesi si è, con la scrittrice, tra cielo e terra, Dio e gli uomini. E’ la condizione che farà di Ildegarda una donna disposta ad accogliere tutte le sventure, rassegnarsi ad esse, vivere per esse, considerarle un segno di Dio.

Sorprende un’opera simile ma pure attrae, affascina dal momento che riporta a quanto oggi sembra perduto per sempre, ripropone situazioni ormai scomparse, recupera valori considerati finiti.

La fede acquisita da bambina e sempre coltivata riduce la gravità delle circostanze nelle quali Ildegarda precipita, le evita di finire in uno stato di disperazione senza vie d’uscita e le fa intravedere la possibilità di una salvezza se non in questo in un altro mondo. Difficile, quasi impossibile è diventato pensare, dire questo ai nostri giorni e che la Veladiano l’abbia fatto le procura un posto particolare nel contesto della narrativa contemporanea, le assicura un modo per distinguersi.

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