Liberiamo la scuola

Liberiamo la scuola

di Gian Carlo Sacchi

Ancora una volta Andrea Ichino, non nuovo a questo tipo di proposte, butta il classico sasso in piccionaia, ma forse si sa già che dopo un movimento d’aria dettato dal battito delle ali tutto tornerà come prima, come è accaduto da quarant’anni a questa parte e per numerose iniziative di questo genere.

Con “liberiamo la scuola” un ebook dei Corsivi del Corriere della Sera il mondo accademico, che magari farebbe bene a dirci se vogliamo liberare l’università prima che venga abbandonata dai figli della crisi, ci suggerisce un doppio canale nel governo del sistema scolastico: quello solito ed uno fatto di scuole autonome che vogliono uscire da questo immobilismo eterodiretto, per mettersi sul mercato, ponendo in relazione le iscrizioni con i risultati degli apprendimenti, passando attraverso la valutazione ed un’assoluta flessibilità nella gestione del personale.

Prima di entrare nel merito delle diverse indicazioni, corre l’obbligo di soffermarci sul valore che deve essere dato alla parola autonomia, leit motiv di oltre un quarantennio, evocata in tutti i provvedimenti, perfino nella revisione della Costituzione e poi affossata immancabilmente nella loro applicazione: com’è noto già si parla di rivedere nuovamente la carta costituzionale, quanto il più recente titolo quinto, convalidato da un referendum popolare, giace e nessuno degli interessati muove un passo concreto, al di là di ricorrenti documenti di intenti, per la sua applicazione. Ma qui si potrebbe andare alla riforma della pubblica amministrazione, degli enti locali, alla Conferenza Nazionale sulla Scuola e su su fino ai decreti delegati, ai distretti scolastici, che potevano essere definiti gli antesignani di quello che poi si sarebbe  chiamato federalismo.

Insomma prima di arrivare ad Ichino ci sarebbe da mettere a posto il quadro di riferimento, cioè le garanzie costituzionali per tutti i cittadini, che oggi si potrebbero chiamare “livelli essenziali delle prestazioni”, sui quali poi innestare quella che è la vera riforma della scuola, cioè quella della governance, alla quale chiaramente anche Ichino fa riferimento, ma che in sostanza nessuno vuole: non l’apparato statale che vuole mantenere la gestione diretta del sistema, non i sindacati che così mantengono un potere contrattuale nei confronti del governo centrale, nemmeno le regioni che temono che il federalismo venga fatto a loro spese, come dimostra l’annuale e annosa trattativa sulla ripartizione del fondo per la sanità.

Dell’autonomia questa rubrica ha registrato anche i sospiri in questi ultimi anni, cerando di cogliere gli auspici delle diverse parti politiche, che poi anche per effetto del loro alternarsi al governo non sono mai stati pienamente realizzati. Cosa ci riservano le larghe intese ? Per ora nulla: questo ministro è nelle stesse ristrettezze di quello precedente, create da quello ancora precedente, che oggi è di nuovo al potere e chiede maggiori risorse per la scuola. Potrebbero essere questi “corsivi” a consigliare il ministro Carrozza ? In fondo Ichino non chiede tanti soldi, ma pone degli obiettivi già noti e mai condivisi in passato in modo tale da arrivare ad una maggioranza.

L’ultimo test lo si è avuto con l’approvazione alla Camera, in modo bipartisan, del disegno di legge sulla governance degli istituti scolastici, che tutti ritengono indispensabile, proprio a sostegno dell’autonomia, ma che nessuno voleva a quel modo. Alla destra è stata sottratta la scuola “fondazione” ed alla sinistra la  rappresentanza sociale, alla ricerca di un’autonomia di “sistema” ma più efficiente ed efficace.

Insomma in Italia abbiamo sempre voluto tenere un sistema a due velocità, che non mettesse mai in pericolo completamente il centralismo burocratico-sindacale, e che cercasse comunque di non lasciarsi sfuggire gli stimoli del cambiamento, soprattutto per ciò che riguarda le ricadute sul sistema scolastico e formativo del mutare delle condizioni socio-economico-culturali.

Ed anche questa nuova proposta vuole liberare la scuola, ma non del tutto, solo una parte, attraverso una sperimentazione pluriennale, che potrebbe anche concludersi con un ritorno all’antico. Sperimentare dunque, in corpore vili, del resto è l’unica strada per innovare di fronte ad un totale immobilismo politico; è la sperimentazione la norma più azzeccata del nostro ordinamento, che consente a chi vuole andare avanti di farlo per un po’ e a chi vuole tornare indietro di considerare gli sperimentatori visionari, revocando le autorizzazioni. Si perché per sperimentare un sistema che deve garantire il valore legale del titolo di studio richiede un provvedimento ministeriale. E chissà perché nella storia della sperimentazione in Italia non se ne sono avute di quelle legate appunto alla governance ?

Qui vorremmo riprendere le indicazioni di Ichino quando parla di un “sistema di scuole autonome”. Perché il problema non sono le fughe in avanti, ma le condizioni generali, quelle indicate dal nuovo art. 117 della Costituzione; del sistema dove tutte le scuole possono essere autonome ed avere adeguata rappresentanza negli organismi politici nazionali, regionali e locali.  Un tale sistema non va riempito solo di burocrazia ministeriale o sindacale, ma prima di tutto di cultura dell’autonomia, quindi si tratta di far avanzare contemporaneamente sia il versante organizzativo, sia quello pedagogico.

E’ il file rouge dell’autonomia che passa dall’istituzionale al curricolare ed al professionale: responsabilità ai docenti nelle scelte didattiche, curricoli più flessibili e personalizzati per gli allievi. Mentre è dunque indispensabile l’organico funzionale di istituto, è proprio utile mettere sulle spalle delle scuole l’assunzione del personale, quando i requisiti grosso modo sono gli stessi? Avendo sotto gli occhi certe conclamate inadeguatezze si crede davvero che il decentramento del reclutamento vi possa ovviare, stante la preparazione fornita da queste università ? O  forse non sarebbe meglio dare luogo a tirocini che possono trasformarsi in contratti a tempo indeterminato ?

Ancora è con l’autonomia che si può arrivare ai risultati, da valutare, confrontare, sui quali riflettere ed  intervenire per migliorare. Interessante la partenza del progetto VALES, anche se nel suo procedere lo si vede sempre più ristretto sul versante burocratico che non aperto su quello del bilancio sociale.

Si è sperimentato che “una scuola uguale per tutti non è equa”, ma qui bisogna intendersi: non è con una scuola del minimo, di cui si parla nel testo, ed una del più che si migliora la situazione. Il minimo riguarderà semmai le competenze generali che tutti gli alunni della Repubblica dovrebbero raggiungere; da qui nasce il di più che prima che al mercato è legato al territorio: la scuola deve poter pensare globalmente ed agire localmente. Ed è ancora nella governance che si annida la mancanza di equità e che poi si esprime in termini di successo formativo. E qui arriva il problema del finanziamento, che deve essere messo in relazione al federalismo fiscale, in un’ottica di multilivello. Le scuole a loro volta hanno autonomia finanziaria e si può potenziare la defiscalizzazione della contribuzione privata. Forse sarà meglio porre in relazione le risorse economiche ai suddetti livelli essenziali piuttosto che ai risultati: è fondato ritenere infatti che finanziando il diritto si incida anche sul raggiungimento del risultato.

Sarà ben difficile che il nostro “corsivo”, agendo a valle di un sistema che non vuole cambiare nella testa, possa produrre qualche risultato, ma i problemi della governance hanno bisogno di urgente attenzione, altrimenti la scuola continua nella sua spirale recessiva. I modelli ai quali Ichino si riferisce non hanno una visione ideologica dell’autonomia, diversamente da noi dove ricompaiono sempre i fantasmi delle così dette scuole di tendenza, una sussidiarietà che fa il pari con privatizzazione, fino ad arrivare al recente referendum bolognese, ignaro di una ormai diffusa concezione post-ideologica.

A proposito di sano riformismo si vorrebbe consigliare la lettura del volumetto “idee ricostruttive per la scuola” redatto al termine dei lavori del forum per le politiche dell’istruzione del Partito Democratico. E’ un altro esempio di grida manzoniana, che pur essendo stato prodotto più vicino alle stanze del potere rischia di andare ad abbellire gli scaffali della storia della scuola italiana.

I due volumi, che si occupano principalmente di governance appunto, potranno tornare a dialogare solo se la politica si vorrà assumere il compito di indirizzo superando i condizionamenti del circolo vizioso burocratico-sindacale pronto ad entrare in azione con qualunque maggioranza, figuriamoci quella che non c’è.