V. Woolf, Freshwater

Al teatro della Woolf

di Antonio Stanca

woolfPresso la casa editrice Nottetempo di Roma è comparso di recente il piccolo volume Freshwater (pp. 110, € 11,00) di Virginia Woolf  (Londra 1882-Rodmeil 1941). E’ curato da Chiara Valerio e contiene brevi lavori della nota scrittrice inglese, la commedia omonima, l’unica scritta dalla Woolf, due ritratti di donna, Julia Margaret Cameron, Ellen Terry, e il racconto Una scena dal passato. Conclude il libro una postfazione di Chiara Valerio, Freshwater e tre variazioni, nella quale la studiosa indaga sui tempi, gli ambienti, gli umori vissuti dalla Woolf al momento della commedia, esprime una valutazione dell’opera e riporta quella di altri intellettuali.

I due ritratti di donna, il primo del 1926, il secondo del 1941, e il racconto, pubblicato postumo nel 1944, non erano stati mai tradotti in italiano. I tre testi vengono dopo la prima stesura della commedia avvenuta nel 1923 e in tutti l’autrice ritorna sui personaggi, i luoghi, i temi di essa, dice di quanto è successo in seguito. Sembra voglia continuarla in altro modo, prepararne un’altra versione. Nel 1935, infatti, la scrive di nuovo e corregge quel procedimento veloce, rapido che aveva caratterizzato la prima versione. L’opera sarà pubblicata la prima volta nel 1976 quando sarà ritrovata e ricostruita. La prima pubblicazione in italiano  è del 1983, la seconda del 1992. Questa attuale di Nottetempo riporta la versione del 1935, quella, cioè, della Woolf matura che ha prodotto i famosi romanzi La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, della scrittrice che ha messo da parte l’atteggiamento realista delle prime narrazioni, la tendenza analitica della produzione saggistica, il tono polemico, pubblicistico della sua attività di animatrice culturale svolta presso il Bloomsbury set e si è votata al concepimento, alla realizzazione di un’arte intesa esclusivamente come fenomeno interiore, come espressione di quanto avviene nell’anima, di quei “momenti di vita, di essere” che sono gli unici capaci di resistere alla rovina comportata dai tempi, di rimanere sempre uguali, di diventare eterni. Le tecniche del “monologo interiore”, del “flusso di coscienza” sono quelle da usare per cogliere l’intensa vita dello spirito, per dare voce a quel processo di pensieri, sentimenti, ricordi, sogni che è proprio dell’anima. Ad esse la scrittrice ricorrerà nei suoi romanzi maggiori e tramite esse il suo nome si unirà a quello dei grandi scrittori del suo tempo quali James Joyce e Marcel Proust.

Questa la Woolf di Freshwater, quella che fa dei personaggi della commedia una serie di figure d’eccezione, intellettuali, artisti, attori. Parlano tutti insieme, tutti ad alta voce, tutti in una lingua colta, raffinata e tutti dicono dell’arte, propria e altrui, come di una manifestazione unica, rara, di un’espressione  preziosa alla quale possono pervenire soltanto spiriti eletti che pensano diversamente dagli altri, sentono, vivono diversamente da essi. Le loro opere sono destinate a non esaurirsi come le tante altre cose della vita, a non finire ma a superare le barriere dello spazio e del tempo, a valere per tutti e per sempre. Per raggiungere tanta altezza l’artista deve vivere, operare in luoghi a lui idonei e per questo i proprietari della casa sull’isola di Freshwater, dove è ambientata la commedia, i signori Cameron, entrambi persone di genio, lui filosofo lei fotografa, non più soddisfatti dell’ambiente hanno deciso di partire per l’India dove il sole, la luna splendono eterni. Per farlo attendono che siano consegnate loro le due bare commissionate dove possano conservare i loro oggetti senza il pericolo che si smarriscano perché pregiato è il legno delle bare e non può essere corroso da vermi o altri parassiti. Come i loro pensieri, le loro opere, come i luoghi dove stanno per andare così i loro oggetti devono rimanere eterni, devono essere come l’arte. E artistici e, perciò, eterni sono anche i versi che, nella commedia, il poeta Tennyson compone e declama ad intervalli regolari ed i quadri che il pittore Watts dipinge facendo posare per ore la giovane e bella moglie Ellen, che a sua volta è una brava attrice di teatro. E’ stanca, però, Ellen di quella vita, da un po’ di tempo pensa che sia fatta solo di parole, non sopporta di stare con persone, compreso il marito, molto più avanti di lei negli anni, di assumere pose così lunghe ed estenuanti. Pensa che oltre allo spirito anche il corpo abbia le sue esigenze, la sua bellezza le chiede di non finire in quel modo, reclama i suoi diritti e col primo uomo, il tenente della nave approdata all’isola, che sarà attirato dalla sua giovane età e dalla sua grazia, fuggirà. Finisce la commedia con i vecchi Cameron che partono per raggiungere l’eternità dell’India e con la giovane Ellen che rinuncia ad essere immortalata dalle tele del marito, rinuncia all’arte e fugge per vivere soltanto della sua vita di donna bella e avvenente.

Non era la prima volta che nella Woolf si assisteva al confronto tra idea e realtà, spirito e materia, anima e corpo, arte e vita, finito e infinito e che sospeso rimaneva il discorso tra i due termini. Per quanto convinta, nella sua fase matura, dell’importanza della vita dello spirito e della sua espressione in arte, la Woolf non si mostrerà mai capace di decidere in maniera definitiva, di stabilire se in nome di quella vita andava negata ogni altra compresa quella del corpo. Sarà un problema questo per lei, diventerà il suo problema, quello di un’anima che progrediva, si affinava sempre più e di un corpo che sempre più cedeva, quello che l’avrebbe condotta al tragico gesto finale.